Viene dal mondo greco la più rivoluzionaria visione dell’animale che la storia della filosofia abbia tramandato. La recente riedizione del grandioso pamphlet di Porfirio Perché non mangiare gli animali (Giunti-Bompiani, Firenze/Milano 2022) permette al lettore italiano di avvicinarsi alla grandezza di questo autore e di questo testo.

Possiamo dire che pressoché tutte le argomentazioni che la filosofia dei diritti e della liberazione animale hanno prodotto negli ultimi decenni vengono qui magistralmente anticipate.

Tra i molti punti di vista affrontati da Porfirio c’è, ad esempio, quello relativo alla giustizia. Possiamo dire infatti che verso gli animali non umani non sia possibile alcuna giustizia, che essi siano cioè totalmente estranei alla sfera della morale, del diritto e del dovere?

E come potrebbe essere così, osserva acutamente Porfirio, se è possibile esercitare nei loro riguardi tanto la violenza quanto la cura? Se con essi in qualche modo ci intendiamo e interagiamo?

Attraverso pagine dense ma cristalline Porfirio discute il problema dell’anima razionale mostrando come non sia possibile negare agli animali non-umani una qualche forma di partecipazione al logos, come il loro agire e reagire al mondo umano non possa spiegarsi se non attraverso l’appartenenza ad una natura che, pur nella innegabile differenza, ci lega ad una comune essenza.

Ed è questa essenza comune, la vita – che contrariamente a quanto vuole certo pensiero biopolitico, Porfirio non ha alcun problema a definire tanto zoe che bios – che ci proietta in una dimensione metafisica e materiale di condivisione e solidarietà.

La vita, come la intendono i neoplatonici, è l’ordine dell’universo, un ordine che è matematico e vivente al tempo stesso, in cui ogni ente produce significato tanto più è unito in sé stesso e all’altro, perché la significazione che attraversa la vita organica è solo un caso particolare della semiosi iscritta nelle leggi di natura, nel grande affresco di forme, linee di sviluppo, cicli di generazione e corruzione di cui siamo testimoni quando alziamo lo sguardo al cielo.

L’animale cosmopolitico è l’animale che scopre nei conflitti e negli alterchi che scuotono il vivente la sfida a comprendere la propria parabola dentro un ordine più grande che eccede le piccolezze delle prospettive individuali e ci apre ad una considerazione più passionevole e creativa dello stare insieme.

Solo attraverso l’animale l’essere umano scopre che dominare il mondo è una forma alienata della solitudine. Solo attraverso l’animale ha la possibilità di uscire dal proprio solipsismo e guardare il mondo attraverso gli occhi di una vita che è anche la sua solo perché in fondo non gli appartiene.

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