Nel 2014, su molti media e social network si cominciò a parlare, con grande e crescente insistenza, e con molte discussioni, di un ingrediente che in pochi conoscevano e che pure era presente in tantissimi prodotti che consumavamo (e che ancora consumiamo, anche se con una composizione diversa) ogni giorno. Si tratta dell’olio di palma.

Questo grasso, utilissimo in vari preparati alimentari, viene estratto dai frutti dell’albero della palma. È solido a temperatura ambiente, come il burro e altri grassi animali. Più utilizzato dall’industria alimentare è l’olio di palmisto, estratto dai semi della stessa pianta. È di colore giallo e contiene una elevata quantità di acido laurico, un acido grasso saturo. L’olio di palma contiene circa il 50% di grassi saturi, mentre quello di palmisto può contenerne fino all’80%.

La Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro ha reso note alcune informazioni su questo olio:

  • L’olio di palma e quello di palmisto contengono elevate quantità di acidi grassi saturi, pericolosi per la salute di arterie e cuore;
  • Uno studio pubblicato nel 2016 dall’EFSA segnala anche che a temperature superiori ai 200 °C questi olii sviluppano sostanze (2 e 3-3- e 2-monocloropropanediolo, MCPD, e relativi acidi grassi) che, ad alte concentrazioni, sono genotossiche, ovvero possono mutare il patrimonio genetico delle cellule;
  • L’EFSA non ha mai chiesto il bando dell’olio di palma perché è difficile che concentrazioni pericolose siano raggiunte con la normale alimentazione; inoltre nello stesso studio si nota che negli ultimi anni il contenuto di queste sostanze nei prodotti industriali è drasticamente diminuito poiché le industrie hanno modificato i propri processi produttivi;
  • Nel gennaio del 2018 l’EFSA ha pubblicato un aggiornamento della sua valutazione del 3-MCPD, innalzandone la soglia tollerabile da 0,8 microgrammi per chilo al giorno a 2 microgrammi per chilo al giorno;
  • Anche altri olii vegetali sviluppano le medesime sostanze nocive, anche se in concentrazioni minori, con effetti negativi per altri aspetti della salute non legati ai tumori;
  • L’olio di palma ha anche un impatto sull’ambiente e la sua coltivazione (così come quella di altre piante da olio che potrebbero sostituirlo) è considerata poco sostenibile;

A quanto riportato dall’AIRC dobbiamo aggiungere che lo stesso olio di palma è ottenuto con lo sfruttamento della manodopera locale, sottopagata e costretta a lavorare in condizioni a dir poco disumane, anche se ci sono anche storie diverse, che però si scontrano con quanto riportato da Amnesty International e Greenpeace.

Fatto è che, a un certo punto gli italiani scoprono l’olio di palma e in massa vi si schierano contro; questo soprattutto grazie alla campagna promossa dall’Avvocato e attivista Dario Dongo (il quale ha recentemente denunciato come l’olio di palma sia ancora molto usato), che nel 2014 aveva raccolto quasi 180.000 firme e convinto le industrie e le insegne della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) più vicine ai consumatori.

Sembrava l’ennesima campagna velleitaria, destinata a suscitare un po’ di scandalo e poi fallire, ma – incredibilmente – ottenne un clamoroso successo. Perché molte aziende – forse per paura di perdere quote di mercato, forse per un’inaspettata sensibilità, forse per pura strategia commerciale – decisero di abbandonare l’olio di palma, sostituendolo con altri prodotti.

La vicenda ha del clamoroso e verrebbe da commentare con un si può fare! perché forse per la prima volta da quando il consumo critico e il boicottaggio dei consumi hanno assunto una certa rilevanza, una campagna come questa, di messa al bando di una sostanza molto usata e molto conveniente, ottiene un successo così clamoroso. Dove avevano fallito le proteste contro i palloni cuciti dai bambini della Nike, le condizioni lavorative dei dipendenti e i cibi scadenti di MacDonald’s e le dichiarazioni omofobe del capo della Barilla, lì trionfò la lotta all’olio di palma.

Ciò che mi colpisce, di questa vicenda, non è solo la drastica riduzione dell’utilizzo di olio di palma nei vari prodotti alimentari, perché indubbiamente esso è nocivo per la salute e per l’ambiente – anche se c’è chi mitiga tali preoccupazioni –, ma come si è arrivati a questo risultato: non è stato necessario vietare, proibire, confiscare; è bastato informare, discutere, diffondere notizie.

È il valore e la potenza della conoscenza che, come dimostra questo piccolo episodio, può cambiare il mondo.

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