Vent’anni di passeggiate solitarie e di un sito, e di un fotografo, senza eguali al mondo.

(English translation below)
Walking in L. A. è una pratica monastica, scandita da regole precise – uscire di casa e se se serve prendere un autobus, e poi camminare solitari per alcuni chilometri, mai troppi, in una delle città meno facili per i pedoni, Los Angeles; scattare alcune fotografie del paesaggio urbano, mai troppe e senza alcuna pretesa artistica, evitando scrupolosamente di riprendere persone, cogliendo dunque solo il paesaggio urbano; compiere questo rito con un certa regolarità, qualche volta al mese, come un esercizio spirituale al quale non si possa rinunciare. 

Walking in L. A. è un viaggio lunghissimo, cominciato nel 2002, con la prima passeggiata pubblicata, e ancora in corso – mi ero inquietato per un’interruzione di un anno dal maggio dell’anno scorso, forse dovuta alla pandemia? – per strade ogni volta sempre diverse. 

Walking in L. A. è un archivio in stile zen, la raccolta ventennale di ciascuna di queste camminate a Los Angeles, con una data, una manciata d’immagini e l’iconica cartina della camminata percorsa. Niente altro. Un sito che divenuto una memoria della città, colta nella sua essenzialità, in un attimo del suo costante divenire.  

Walking in L. A. è l’opera di un Salinger fotografo e cittadino, un personaggio misterioso e schivo, di cui, tra le centinaia di fotografie raccolte nel sito, non si trova un ritratto. Solo attraverso un articolo del Los Angeles Times a lui dedicato agli albori delle sue passeggiate solistiche, nel 2004, apprendiamo che si chiama Neil Hopper, e che in quell’anno aveva 59 anni. Ma alcune sezioni a coté del suo immenso blog, ci rivelano più di qualsiasi biografia mancante: lo sguardo pietoso, ma anche ironico, sugli animali travolti sulle strade di Los Angeles nei quali si è imbattuto; un testamento che lascia in eredità schiavi “negri” come se fossero cose, i modelli delle automobili preferite, e altre curiosità, come delle vecchie istruzioni su come usare il telefono

Walking in L. A. è un monumento americano, un road movie su sito e distillato lentamente nel tempo. È un mito appartato – che conobbi grazie a Bob Travis Crane, uno dei più grandi agenti immobiliari e mentore della città. Il suo ineffabile artefice è un eroico rewriter che imperterrito e senza vanità – quasi un fantasma lui, e così scarno nell’aspetto il sito – continua a viaggiare nella sua città, rappresentandola con amore e per quello che è. 

In tutti questi anni di interesse per i viaggiatori, compresi i viaggiatori fermi, non mi sono mai imbattuto in niente di simile. Tanti sono i blog dedicati alle città e alle camminate, ma nessuno – nessuno – ha una tale durata, una tale quantità di chilometri macinati da una sola persona, e un’anonimità che si è trasformata in uno specchio così unico.  

Los Angeles è fortunata a essere documentata e riscritta da questo sguardo discreto – occorre insistere su quanto sia straordinario non aver fotografato una sola persona in tutti questi anni – che è un prodotto della vocazione per le esplorazioni dei pionieri americani. 

Ogni città dovrebbe avere un interprete così. Ogni viaggiatore, anzi ognuno di noi, dovrebbe coltivare una propria stanza privata e pubblica dove praticare lo sguardo e la sua conservazione, con un approccio talmente disarmante per semplicità e rigore. Lunga vita al settantaseienne camminatore e fotografo californiano. 

“Walking in L. A.”, the secluded
and heroic exploration
of a mysterious photographer

Twenty years of solitary walks collected on a site, and a mysterious photographer, with no equal in the world.

Walking in L. A. it is a monastic practice, marked by precise rules – leave the house and if necessary take a bus, and then walk alone for a few kilometers, never too many, in Los Angeles, one of the less easy cities for pedestrians. Take some photographs, never too many, of the urban landscape, scrupulously avoiding shooting people, and thus capturing only the urban landscape. Performing this ritual with a certain regularity, few times every month, as a spiritual exercise.

Walking in L. A. is a very long journey, started in 2002 and still in progress (I was worried about a one-year interruption since May last year, perhaps due to the pandemic?), and through different itineraries every time.

Walking in L. A. is a Zen-style archive, the twenty-year collection of each of these walks in Los Angeles, with a date, a handful of images, and the iconic map of the walk. Nothing else. A site that over time has become a memory of the city, captured in its essentiality, in a moment of its constant becoming.

Walking in L. A. is the work of a Salinger-like photographer, a mysterious and shy character, of whom, among the hundreds of photographs collected on the site, there is no portrait. Only through an article by the Los Angeles Times dedicated to him in 2004 (http://articles.latimes.com/2004/sep/16/local/me-walker16), we learn that his name is Neil Hopper, and that in that year he was 59 years old. Yet, some sections of his immense blog reveal more than any missing biography: the pitiful, but also ironic, gaze on the animals killed in the streets of Los Angeles, a will that bequeaths “black” slaves as if they were things, favourite car models and other curiosities, such as a set of old instructions on how to use the telephone.

Walking in L. A. is an American monument, a road movie on website, slowly distilled over time. A hidden myth – disclosed to me years ago by Bob Travis Crane, one of the best real estate agent and memory of the town. Its ineffable creator is a heroic rewriter who continues undeterred and without vanity – he is almost a ghost, and the site is so gaunt in appearance – in travelling through his city, representing it with love and without mercy, for what it is. 

In all these years of interest for travelers, including stationary travelers, I have never come across anything similar. There are many blogs dedicated to cities and “walks”, but no one – no one – possesses such a duration, such a quantity of kilometers covered by a single person, and anonymity that has turned into such a unique mirror.

Los Angeles is fortunate to be documented and rewritten by this discreet character – one must insist on how extraordinary it is not to have photographed a single person all these years – which is a product of the American pioneering culture.

Every city should have a mentor like that. Every traveler, indeed each one of us, should cultivate his own private and public “room” where he can practice the gaze and its conservation, with an approach so disarming for simplicity and rigor.

Long live the 76-year-old Californian walker.

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