Nell’era della comunicazione, ogni angolo ha qualcosa da dirci. I media in primis, comunicano con noi e ci mandano messaggi continuamente, senza mai fermarsi. Sembra tutto incredibilmente naturale, come se l’evoluzione stessa dell’uomo abbia fatto giri enormi per arrivare a questo punto. Oggi, grazie soprattutto alla tecnologia, ogni cosa comunica, ogni cosa ha da dire la sua. Televisione, internet, ma anche i significati reconditi di un film, di un buon racconto o la disposizione degli scaffali in un supermercato: tutto è comunicazione.

I videogiochi, soprattutto quelli dei giorni nostri, non sono esenti da questo meccanismo. Oggi un buon videogame può farci commuovere, ridere, sognare e – perché no? – vivere una realtà alternativa alla nostra. Ma cosa succede quando il videogioco diventa un ibrido tra sport e racconto? Il mondo si divide. Tra i gamer sparsi nel globo, sembra essere sempre più forte l’opinione secondo cui se un gioco non ha nulla da comunicare, allora non è un buon prodotto. Quei titoli just for fun non vengono più apprezzati per il semplice fatto di non avere nessun altro messaggio da recapitare al pubblico se non “completa questa mansione e divertiti”.

Nella sua ascesa a prodotto culturale, il videogioco si è posizionato ad un livello in cui il peso di ogni sua mossa comporta delle conseguenze enormi. Se un videogioco non soddisfa il pubblico, questo viene amaramente criticato e poi messo nel dimenticatoio. Niente di più giusto, in un’ottica di mercato: un prodotto non è gradito dal consumatore che, con le sue possibilità, esprime il suo dissenso; allora l’industria videoludica ne prende atto e adatta ciò che verrà dopo alle aspettative del suo pubblico. In tutto ciò, però, il pubblico è sempre più esigente ed attento. Oggi, capita spesso, se un videogioco non si propone di porsi ad oggetto culturale, è molto facile che questo venga ignorato o criticato.

Il videogame, invece, nasce con l’intenzione di divertire, e proprio per questo, in questi ultimi anni,  sono nati i cosiddetti e-sports. Lo sport, si sa, è pur sempre parte della cultura globale, niente da obiettare; ma qual è il significato nascosto del calcio, o del basket? Quale quello, invece, del tiro al piattello? Nessuno. È chiaro che poi, durante un torneo di respiro internazionale o di grande rilevanza, anche lo sport acquisisca dei significati e si rende capace di veicolare dei messaggi al proprio pubblico. Ma perché, allora, il videogioco deve necessariamente avere qualcosa da comunicare?

Pac Man non aveva nulla da comunicare, così come Pong, o il più recente FallGuys.
Si tratta di giochi semplici, che forniscono dei compiti altrettanto semplici per garantire un certo grado di divertimento a chiunque voglia giocarli. Oggi, invece, un videogame deve avere necessariamente qualcosa da dire ai propri fruitori, per essere apprezzato.

Una trama avvincente – ancora meglio se difficile da comprendere – e tanti riferimenti al mondo reale, mischiati ad una visione controcorrente della società, sono la base secondo la quale moltissimi gamer giudicano un prodotto videoludico. Prodotti del genere sono apprezzabilissimi, sia chiaro, perché rendono giustizia al videogioco in quanto prodotto culturale capace di veicolare effettivamente dei messaggi e di proporre delle visioni diverse – o almeno alternative. Ma dev’essere altrettanto cristallino il fatto che il videogioco non sia solo questo.

Perché non apprezzare una trama semplice? Perché, all’estremo opposto, è considerato quasi inconcepibile l’assenza totale di una storyline? Non bisogna forzare la mano. Un videogioco, per essere tale, deve innanzitutto fornire dell’intrattenimento al proprio pubblico. Che poi questo comporti un alto grado di sfida, o un’enorme spesa d’attenzione per recepirne i messaggi piuttosto che, semplicemente, mettere nel sacco il maggior numero di punti possibili, è un altro discorso.

Il videogioco è parte della cultura globale, prodotto di richieste ascoltate e di sfide accettate da parte degli sviluppatori sparsi nel mondo. In quanto prodotto culturale, il videogame si è reso sport, racconto e filosofo. Ma non bisogna mai dimenticare che questo possa essere anche semplicemente uno svago di pochi minuti, un passatempo per i pendolari o una storia semplice per chi, in spensieratezza, voglia godersi una storia rilassata.

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