Amanita Design è una garanzia, per chi ha un’ossessione per un certo genere d’intrattenimento videoludico. Quale? Quello che si muove tra le sperimentazioni uber indie di Mateusz Skutnik e i vari Daymare Town, per esempio, e lì pianta le tende e trova casa. 

Società di game developing cecoslovacca, vincitrice di parecchi premi in contesti più o meno indipendenti, Amanita è quella di Samorost e sequel; ci conquista e sbanca tutto con Machinarium nel 2009, il suo primo adventure game lungo e articolato, a partire da un tenerissimo robot in esilio solitario tra i rottami; poi esplora direzioni decisamente diverse con l’iridescente Botanicula e il delirante Chuchel

Ma è forse il suo Creaks, platform a enigmi di grandissima potenza evocativa grazie al world building che contorna il gameplay, a rappresentare un apice per i punta-e-clicca dai fondali suggestivi, che qui invece vede notevolmente semplificati i controlli di gioco in una struttura più snella tramite pad direzionale. 

È proprio la visual art del gioco, tra le varie nomination, ad aver fruttato ad Amanita la vittoria ai CEEGA 2020 (Central & Eastern European Game Awards), cerimonia annuale che premia i migliori giochi centro/est europei. I contesti immaginifici — è il caso di dirlo! — tra i quali si dipana l’esplorazione sotterranea del protagonista, dipinta a mano e animata con cura, costruiscono una profondità narrativa che flirta con l’orrore ottocentesco e ci fa dubitare di ciò che s’acquatta tra le ombre… per svanire come neve al sole non appena riguadagniamo l’interruttore della lampadina. 

Creaks

Dove ci porta Creaks?

Sottoterra, e altrove. C’è una magione misteriosa piena di libri e chincaglierie al termine di un tunnel, canonico ingresso in un eterno secondo atto: ad abitare questo territorio affascinante, creature ineffabili dotate di becchi e cappucci, ma anche pericolosi ostacoli tentacolati e zannuti. O forse no. Tra il citazionismo di piccoli mini-giochi arcade rappresentati con l’estetica dell’arte visiva del diciottesimo e diciannovesimo secolo, e le sfide-puzzle fatte di stanze segrete e leve e pulsanti da sbloccare mentre si sgretolano colonne senza tempo e il tempo stesso sembra crollarci attorno, capiamo: autentico motore d’ispirazione per l’avventura è il macrotema dell’ambiguità. L’inganno dell’occhio, principe tra i sensi.

Siamo dalle parti della pareidolia, esatto (che poi è stata anche uno dei titoli provvisori del gioco, addirittura): ovvero quell’illusione subcosciente che ha la tendenza a ricomprendere sagome naturali o artificiali dalla forma assolutamente casuale entro i confini di tutt’altre figure note. Un esempio pratico: l’attaccapanni carico di abiti, a luce accesa, che a luce spenta diventa un losco figuro incombente. È una tendenza istintiva, un automatismo, oppure un passatempo lezioso volto a riconoscere figure familiari tra le nuvole o le costellazioni; ma è anche il meccanismo alla base della stilizzazione di espressioni e faccette assortite nelle prime emoticon internettiane, per non parlare dell’ASCII art. 

Sempre a proposito di pareidolia, che dire di Deep Dream, il programma di elaborazione immagini elaborato da Google sei o sette anni fa? Tramite una rete neurale vera e propria, cercava e rielaborava pattern via pareidolia algoritmica: il risultato? Effetti allucinogeni da sogno (“cosa accade se un’intelligenza artificiale si droga”, scherzò all’epoca qualcuno) e, oggi, un sacco di generator automatici capaci di mandarci in trip visivo grazie all’open source. 

Ma a meritare una menzione a parte, in Creaks, è anche la colonna sonora adattiva di Hidden Orchestra alias Brighton Joe Acheson, che con flauti, organi, cetre e synth qui ci regala un generatore continuo di soundtrack evocative a partire da quelle del gioco: il Creaksbox. Muta mentre giochiamo e sembra premiarci al progredire del gioco. A essere stimolato è dunque quasi tutto il comparto sensoriale, in ottemperanza (in)consapevole agli stilemi conradiani della narrazione efficace – quella per cui chi legge le storie migliori ne godrà proprio purché possa “vedere, sentire, annusare, gustare, toccare” i mondi costruiti da chi racconta la storia. 

L’ultimo arrivato in casa Amanita? Happy Game, presentato all’E3 2021, che la casa di produzione stessa definisce horror psichedelico. Sulla fiducia, non vediamo l’ora di provare. 

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