Nel 1929 Alexander Fleming annuncia al mondo la scoperta della penicillina e stravolge le pratiche mediche, aprendo la via agli antibiotici come li conosciamo oggi.
Siamo in un momento di transizione, tra le due guerre mondiali, e la ricerca scientifica procede sulla scia dell’accelerazione che connota i pochi anni che intercorrono tra la Grande Guerra, con i suoi milioni di morti, e il secondo conflitto mondiale che sta per esplodere in Europa ancora più devastante.

Una scoperta che cambia la storia

Le grandi scoperte sono spesso opere collettive, nascono da un passo fatto da qualcun altro e procedono in staffetta, completate da una persona diversa ma con il contributo di molte. Quando si arriva all’obiettivo, da lì si riparte per andare un po’ più avanti.

Trent’anni prima di Fleming, qualcun altro era arrivato alle stesse conclusioni, ma con minore visibilità e minore capacità di essere ascoltato. L’italiano Vincenzo Tiberio ben trentaquattro anni prima, osservando le muffe provenienti da un pozzo e i loro effetti potenti nel distruggere i batteri, ne aveva individuato il potenziale ma la comunità scientifica non aveva prestato orecchio alle sue parole. Prima ancora gli studi del celebre microbiologo francese Louis Pasteur avevano aperto la via all’osservazione della fermentazione di vegetali parassiti.

Alla ricerca di una magica medicina

Quando Alexander Fleming arriva nelle sale del Medical Research Club e presenta gli esiti dei suoi studi sul Penicillium Notatum, il fungo dagli effetti curativi da cui deriverà il nome Penicillina, la risonanza mediatica invece è pazzesca. Lo scenario è cambiato, il contesto anche. Eppure qualcosa non funziona come dovrebbe.

In potenza ha tra le mani un miracolo antibiotico che potrebbe debellare staffilococco e streptococco, ma qualcosa non va. Non è abbastanza efficace, per quanto la scoperta sia notevole e promettente – tanto da valere il Nobel per la Medicina a Fleming, nel 1945.
Altre sostanze nel frattempo vengono utilizzate per combattere le infezioni, i sulfamidici, che tengono a bada i germi ma non li debellano. La ricerca di una magica medicina, che possa sanare le infezioni più gravi, in uno mondo che porta cucito addosso il peso dei milioni di morti della prima guerra e si sta avviando ad un nuovo conflitto che si presagisce ancora più devastante del precedente, è allo stesso tempo un sogno, una necessità, una speranza. Il mondo vuole guarire ma non sa come fare.

‘Moldy’ Mary Hunt
e il suo melone ammuffito

Ed è qui che entra in gioco Mary Hunt, giovane microbiologa americana del Northern Regional Research Laboratory. Collabora con il gruppo di ricercatori americani che prova a risolvere l’arcano, alla ricerca di una penicillina parzialmente purificata, che possa essere più efficace di quella scoperta da Fleming, in forma ancora grezza.

Mary viene incaricata di trovare una muffa più potente e gira per i mercati alla ricerca di prodotti da studiare, alla ricerca della muffa perfetta. La trova in un melone. Siamo nel 1941 e la sperimentazione degli effetti del fungo Penicillium chrysogenum parte immediatamente, non c’è tempo da perdere, la guerra sta esplodendo dall’Europa a tutto il mondo.

La ricerca è andata avanti e le tecniche per far crescere il fungo sono migliorate: la nuova penicillina è la soluzione, finalmente, e inizia la produzione del farmaco che può sanare le ferite infette di milioni di soldati feriti in battaglia. Moldy Mary, la muffosa Mary come viene soprannominata ingiustamente nei giornali dell’epoca, ha dato un contributo essenziale nel trovare la muffa perfetta, eppure scompare presto tra le pieghe della storia e di lei non si fa praticamente più menzione.

Staffetta al femminile

Le staffette si sa sono lunghe e vince non solo chi è veloce, ma chi resiste senza perdere la concentrazione. Un’altra donna ha un ruolo fondamentale nello svolgersi della storia della nascita degli antibiotici: Dorothy Crowfoot Hodgkin, poi premio Nobel per la Chimica nel 1964, nata nello stesso anno di Mary Hunt, il 1910.

Negli anni Trenta si appassiona alla tecnica della cristallografia a raggi X applicata alle molecole biologiche e in poco tempo fa numerose scoperte che le varranno il Nobel nel 1964: scopre la pepsina, spiega la struttura del colesterolo, individua la vitamina B12 e scopre la benzilpenicillina, detta anche penicillina G sodica, utilizzata poi contro le infezioni più resistenti causate da streptococco, meningococco e gonococco e nel trattamento dei malati di sifilide.

Gli antibiotici hanno cambiato il corso della storia e sono state una delle sfide più intense nelle cure mediche del Novecento – allo stesso modo dell’impatto che hanno avuto e stanno avendo i vaccini.

La streptomicina ad esempio è stata scoperta nel 1943 da un gruppo di ricercatori della Rutgers University, tra cui la studiosa Elizabeth Jane Bugie, ed è il primo antibiotico che ha permesso di curare la tubercolosi e la peste bubbonica, con un impatto fondamentale nel contenere e poi debellare malattie prima incurabili. Eppure anche di Elisabeth Bugie non resta traccia adeguata nella storia ufficiale, se non in modo collaterale, nei margini di un articolo che lanciava la scoperta del direttore della ricerca, Selman Waksman, premio Nobel per la Medicina nel 1952 proprio per gli studi sugli antibiotici.

Protagoniste di un’altra storia, declinata al femminile plurale, collettiva, fatta di conquiste e di attese, ancora da raccontare. Alle volte serve un po’ di serendipity per trovare ispirazione. La storia di Mary Hunt l’ho incrociata grazie alle chiacchiere con la mia grande amica July, fisica, che mi ha raccontato di funghi, muffe, licheni e dei modi bizzarri in cui spesso le scoperte si rivelano.

Purtroppo di Mary restano tracce impalpabili, con il suo nome che ondeggia tra il racconto quasi leggendario di una scoperta fortuita e la storia ufficiale, che la tiene distante. Sono andata avanti da lì alla ricerca di libri, testi e documentari, e mi sono imbattuta nel racconto della Miracle Cure! Ecco, questo è l’unico testo in cui è citata Mary Hunt. Facciatene tesoro!

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