Quella di Fabio Condemi, con La Filosofia nel Boudoir – presentato a La Biennale di Venezia Teatro 2020, andato in scena al Teatro India nell’ottobre 2020 e Premio Ubu 2021 Migliore regia – è una ricerca personale,necessariamente radicale, che si espande sul palcoscenico, insinuandosi prepotentemente nell’occhio dello spettatore. Che, tra il tragico e il grottesco, ironia della sorte, si ritrova con le mani sporche di sangue ad applaudire, più o meno inconsapevolmente, un crimine brutale.

Il testo sadeiano è interpellato, indagato, approfondito, condizionato, ricostruito, sezionato, rifiutato e poi abbracciato. Condemi, regista diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico nel 2015, attraverso un gioco combinatorio, riscrive una pièce di (de)formazione rovesciata, confermando le scelte dei suoi lavori precedenti su Pier Paolo Pasolini (con Questo è il tempo in cui attendo la grazia) e Robert Walser (con Jakob Von Gunten) e tendendo sempre al nuovo e all’oggi, con intelligenza provocatoria.

Corpi nudi, parole e musica, insieme a immagini, scritte e lavagne luminose, sono protagonisti di cinque lezioni che raccontano la scrittura terremotante di Sade. Abbattendo ogni censura, urlando contro ogni l’ipocrisia, il libertinismo licenzioso accarezza i costumi sessuali rivoluzionari, scuote la morale, uccide la religione. Con il principale obiettivo di interrogarsi e interrogare, ponendo in ultimo la questione che chiude violentemente lo spettacolo e apre, spalanca – dirompente – il dilemma etico della contemporaneità, già posto da Simone de Beauvoir. Il dibattito è ancora aperto: dobbiamo bruciare Sade? 

La Filosofia nel Boudoir – Fabio Condemi / Carolina Ellero, Gabriele Portoghese, Marco Fasciana e Elena Rivoltini

Come nasce La Filosofia nel Boudoir?


Antonio Latella – coraggiosamente! – mi ha chiesto di presentare un lavoro nuovo per La Biennale di Venezia (Teatro, 2020). Ci siamo confrontati sul tema, quello del ‘nascondiglio’, della ‘censura’ e da questo è nata l’idea di ragionare su de Sade. Per ragioni ovvie: forse è l’autore che nella storia della Letteratura ha avuto più a che fare con la censura. Mi sembrava poi si creasse un legame tra questo testo e altri su cui ho lavorato in precedenza, come Pierpaolo Pasolini o Robert Walser.

“La Filosofia nel Boudoir” è una stranissima, capovolta, paradossale opera pedagogica e lo stesso vale per “Jakob von Gunten” di Walser. Il modo di approcciarsi al mondo a partire dall’infanzia, per avere uno sguardo proprio, l’ho visto anche in ‘Questo è il tempo in cui attendo la grazia’: una strana e onirica biografia di Pasolini, attraverso le sue sceneggiature e la crescita di uno sguardo, per imparare a guardare. In de Sade i precetti morali e pedagogici sono ribaltati, in maniera tagliente, ferocemente violenta ma anche ironica. Questo un po’ destabilizza, ha a che fare anche con il periodo storico in cui è stato scritto, immediatamente dopo la Rivoluzione Francese – momento di snodo per il mondo moderno – e si arricchisce ulteriormente di strati e interpretazioni. Insomma, questo testo è nato da una serie di considerazioni…

Adattamento, traduzione, drammaturgia e regia: che tipo di lavoro ha fatto sul testo?
È stato molto lungo. Non solo per mia scelta: La Biennale è stata posticipata di diversi mesi a causa della pandemia e il mio lavoro si è protratto, per forza di cose. Solitamente ragiono molto prima delle prove. Cerco di lavorare a un progetto o a un pensiero, per arrivare ‘armato’ alle prove, con una serie di materiali: la drammaturgia, molti bozzetti… nonostante le prove stesse servano a mettere in discussione alcune idee sullo spettacolo, a me piace ‘provarle’, appunto, vedere se funziona ciò che ho immaginato, scritto e disegnato. Ho ragionato su questo spettacolo per molto tempo, benché fossi pronto a iniziare. Avevo addirittura realizzato un plastico del lavoro!

Ho continuato a leggere de Sade, estremamente potente, ma anche alcuni pensatori che l’hanno studiato o sono entrati in conflitto con lui: Roland Barthes, George Didi-Huberman, Simone de Beauvoir, John Berger… Tutti questi nomi sono entrati nella drammaturgia, come una sorta di contrappunto costante per mettere ulteriormente in difficoltà lo sguardo dello spettatore. È un dialogo e uno scontro continuo con queste personalità del Novecento. Attraverso la drammaturgia ho voluto sottolineare la divisione dello spettacolo in cinque lezioni, da intendere sia come frontalità dello sguardo ma anche come interrogazione personale sul nostro stesso sguardo. Per Berger lo sguardo non è mai scontato. Per me il discorso sullo sguardo doveva essere un po’ come in Un cane andaluso di Bunuel: una lama che taglia il bulbo oculare. Ho cercato di accostare diversi elementi per restituire la forza corrosiva di de Sade.

La Filosofia nel Boudoir – Fabio Condemi / bozzetto

Come ha diretto gli attori e come ha lavorato sui diversi personaggi, specialmente su quelli femminili?
Abbiamo letto e parlato molto. C’è un momento dello spettacolo molto importante per me, in cui si svela che quello che stiamo vedendo non è nient’altro che letteratura, un gioco combinatorio in cui ci fa cadere il Marchese de Sade. I nomi dei protagonisti sono scritti a lettere cubitali, su dei pannelli, come fossero un grande cruciverba. Le iniziali di questi nomi danno proprio SADE: non l’ho inventato io, è un gioco interno al testo.

Parlare di personaggi non è semplice, sono piuttosto delle emanazioni del pensiero di de Sade. A volte le battute sono interscambiabili, in questo fiume violentissimo, logorroico e anche noioso. ‘La Filosofia nel Boudoir’ dura poco meno di due ore, se si legge il testo teatrale, ne dura otto: otto ore di fiumi di parole continui. Con Elena Rivoltini ci siamo interrogati su questa figura femminile estremamente lucida e colta, Madame de Saint-Ange.

Elena è anche musicista e ha rielaborato due brani, di Haydn e Couperin e ho voluto inserirli nella drammaturgia. Eugénie (interpretata da Carolina Ellero) nello spettacolo arriva dall’esterno, dalla natura, duplice e selvaggia, che porterebbe, per forza di cose, al crimine. Dalla natura poi fa un suo percorso, è l’oggetto della pedagogia. È stato interessante seguire questo paradosso: lei è un’allieva perfetta dei libertini, del mondo moderno, del mondo post Rivoluzione Francese fino al momento in cui diventa una criminale, quando stupra e uccide sua madre. Carolina è andata fino in fondo a questa interpretazione – a mio avviso straordinaria – e a questo cambiamento, senza giudicarlo. Ci siamo ispirati molto anche ai dipinti di Balthus, per trovare proprio quella grazia e quella crudezza insieme.

Quello di Sade sembra un invito a ribellarsi, una sfida a imitare l’appassionata Eugénie: “distruggete, calpestate, e con la sua stessa rapidità, tutti i ridicoli precetti che vi hanno inculcato genitori imbecilli”. Come si inserisce il pubblico nello spettacolo? Lo spettatore va educato?
Nella seconda lezione Eugénie ha proprio il ruolo di spettatrice, mentre c’è una lezione di Storia dell’Arte, di Storia dello Sguardo. Lo spettatore ha un ruolo attivo nel guardare e per questo si crea anche un rapporto particolare tra Eugénie e lo spettatore. Non credo che lo spettatore vada educato. Ronconi diceva: “A volte dicono che io sia uno sprezzatore degli spettatori e invece no: ho grande rispetto della loro intelligenza”.

Penso che allo spettatore vadano posti problemi e interrogativi – che poi sono gli stessi che mi pongo anch’io – per avere materia incandescente su cui discutere e riflettere. È interessante mettere in dubbio delle convenzioni che diamo per scontate anche nel pensare il teatro, lo spazio o il rapporto tra quello che vediamo in scena e quello che noi immaginiamo. Possiamo farlo in un continuo décalage – termine che utilizza George Perec – in un continuo spostamento di segni. C’è sempre un vuoto, una parte da inventare o da colmare. In de Sade è una specie di terremoto e ti porta a mettere in dubbio tante cose. Anche i precetti morali.

La Filosofia nel Boudoir – Fabio Condemi /  Madame de Saint-Ange (Elena Rivoltini) e Eugénie (Carolina Ellero)

Qual è la sua idea di regia?
I testi che scelgo hanno tutti quella che Calvino chiama ‘molteplicità’: sono appunto molteplici, infiniti, vivi. L’idea di teatro come regia critica, in cui il regista spiega il testo, a me non interessa. Preferisco mettere in moto alcune forze che contiene il testo stesso, come un grande gioco combinatorio. A me diverte vedere qualcosa che è molto complesso, in cui entro in parte, colgo delle suggestioni alle quali poi ripenso a casa.

Mi interessa un teatro fatto di zone d’ombra e anche di vuoti, preferisco creare una mappa anziché dare un’interpretazione del testo. Oltre a drammaturgia e regia, per me è molto importante lo spazio. Lavoro con gli attori pensando proprio allo spazio giusto per quelle parole, per quel testo, per quella mappa e lo faccio insieme a Fabio Cherstich che firma la drammaturgia dell’immagine, le scene e i costumi dei miei spettacoli. Ne “La Filosofia nel Boudoir” abbiamo ragionato a partire dalle lavagne luminose, l’utilizzo della luce e con le immagini settecentesche della Rivoluzione Francese.

Che cosa rende – soprattutto oggi – la scrittura di Sade scandalosa?
Etimologicamente, lo scandalo è la pietra d’inciampo, un ostacolo da superare. Sade è scandaloso perché pone problemi e interrogativi in maniera estremamente maleducata e violenta, netta, senza sfumature. Roland Barthes dice che in Sade non c’è strip-tease: non c’è mai un disvelamento delle cose. Tutto è il contrario di tutto con violenza, forza, cecità, furore. Sade va dritto ai problemi fondamentali: Dio, la famiglia, il nostro rapporto con il potere, la violenza… In questo è scandaloso: ti forza a prendere delle decisioni.

Appare anche nella scena finale, la più violenta, de La Filosofia nel Boudoir: dobbiamo bruciare Sade?
Sade ci mette davanti al nostro rapporto con la violenza e guai a far finta di niente, guai a non avere un dialogo con questa parte brutale, spaventosa e scandalosa dell’essere umano. Non bisogna dimenticarla, così come non va dimenticato un autore così radicale. No, non dobbiamo bruciare Sade.

La Filosofia nel Boudoir – Fabio Condemi

La filosofia nel boudoir

di Donatien-Alphonse-François de Sade

Prima assoluta: 2020 
Traduzione e adattamento: Fabio Condemi
Regia e drammaturgia: Fabio Condemi
Drammaturgia dell’immagine, dispositivo visivo e costumi: Fabio Cherstich 
Sound designer: Igor Renzetti 
Light designer: Camilla Piccioni 
Assistente ai costumi: Marta Montevecchi 
Composizioni vocali: Elena Rivoltini
Con: Carolina Ellero, Marco Fasciana, Candida Nieri, Gabriele Portoghese, Elena Rivoltini
Assistente alla regia: Marco Fasciana
Produzione: Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Teatro Piemonte Europa

Per i temi trattati e per la presenza di scene di nudo parziale e integrale, lo spettacolo è vietato ai minori di 18 anni.

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