L’inchiesta che sto conducendo, intervistando le operatrici e gli operatori culturali milanesi, mi ha fatto incontrare due direttrici artistiche di uno spazio off milanese che da subito si è fatto notare per la scelta coraggiosa e intelligente di colmare un vuoto nella scena teatrale milanese: avere un confronto con agli artisti e alle artiste degli altri paesi; ovvimente non sono le uniche a Milano, e ed è anche vero che le loro stagioni/rassegne non sono abitate solo da artisti/e stranieri/e, ma sicuramente, per essere un piccolo teatro, hanno contribuito a rendere la nostra Milano una città dallo sguardo più europeo.

Valentina Picariello e Valentina Kastlunger conducono ZONA K insieme a Sabrina Sinatti (bravissima e sensibile regista teatrale) e mi diverte l’idea che siano unite dallo stesso nome ma con due cognomi che sembrano essere la loro carta di identità: Valentina con due anime, quella paesana e quella internazionale.

Cosa significa per una comunità non poter avere un servizio pubblico come il teatro? Forse bisognerebbe innanzitutto interrogarsi sul significato e sul senso di comunità oggi. L’impressione è che esistano sempre più tanti piccoli mondi che a fatica comunicano tra loro, mettendo in discussione il senso stesso di comunità. Il Teatro dovrebbe essere un luogo, un tempo, un servizio pubblico a disposizione di tutti e soprattutto in grado di rivolgersi e coinvolgere tutti.

Cosa manca in Italia, secondo Valentina & Valentina, affichè la cultura venga considerata un bene primario di ogni cittadino/a?
Manca la cultura della Cultura. Manca l’educazione, l’abitudine, la consuetudine.

Cosa credi che bisognerebbe fare per far tornare il pubblico in sala?
Crediamo che il pubblico abituato a frequentare i teatri sia più che pronto a tornare in sala. La questione è piuttosto come far arrivare in sala il pubblico che anche prima latitava.

Cosa vorresti lasciare ai tuoi nipoti, per il loro futuro?
Si rischia di cadere sempre un po’ nella retorica del mondo migliore.. Forse basterebbe che avessero più consapevolezza della realtà e autonomia di giudizio.

Quand’è l’ultima volta che ti sei commossa?
Mi commuovo abbastanza facilmente, quindi non faccio testo.

Cosa significa per te lottare per il bene comune?
Crediamo che prima di tutto dovrebbe essere una lotta per far comprendere cosa sia un bene comune e quanto sia importante che ancora esista. In questi ultimi anni e in particolare durante la pandemia, sono nati numerosi gruppi e movimenti che ragionano, s’interrogano e polemizzano su cosa sono i beni comuni, le posizioni spesso si sovrappongono, altre volte divergono e non sempre sono capaci di un dialogo. A questo proposito rimandiamo la risposta al filosofo Carlo Sini che ha tenuto un bellissimo intervento sul perché l’arte sia un bene comune.

Chi dovrebbero essere le persone che gestiranno i teatri di domani?
Anche qua non abbiamo una risposta univoca. Si può rispondere genericamente: più donne, più giovani, più figure con uno sguardo internazionale, maggiore competenza, più capacità imprenditoriale. Ma sono risposte riduttive e che non rendono ragione della complessità del ruolo. Noi siamo un teatro piccolo, che forse nemmeno si può definire teatro eppure abbiamo realizzato progetti complessi, ospitato compagnie internazionali, co-prodotto spettacoli che girano in Europa. Abbiamo imparato con il tempo e cercando soluzioni alternative, non essendo parte del sistema. Tutto questo per dire, in sintesi, che le strade possono essere tante e diverse tra loro.

Una Direttrice Artistica in Italia ha le stesse opportunità di un uomo?
Difficile per noi dare una risposta personale. Siamo una realtà OFF che ha saputo interloquire tanto con grandi istituzioni quanto con piccole associazioni. Non ci siamo mai sentite sottovalutate o non considerate in quanto donne. Tuttavia va detto che il mondo del teatro – senza orari e per lo più notturni! – sia piuttosto faticoso da incastrare con la vita di una famiglia con bambini piccoli. Ma siamo sopravvissute anche a questo e ormai i figli sono quasi grandi.

Per fare il lavoro che hai fatto in questi anni, hai avuto bisogno di più amore o di coraggio?
Sicuramente di entrambi. Ma abbiamo avuto anche la grande fortuna di conoscerci da sempre, di credere in un progetto comune e di avere visioni e capacità complementari. Tutto questo, unito all’amore per il teatro e per il lavoro che stavamo facendo, al coraggio di buttarsi in un’esperienza comune senza alcuna certezza, ha costituito la nostra più grande forza.

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