L’isola degli alberi scomparsi è un romanzo della scrittrice turco-britannica Elif Shafak. Il libro narra la storia di una famiglia travolta dagli eventi della sanguinosa invasione turca a Cipro nel luglio del 1974.

Turchi e greci convivevano nella terra di Cipro che li accoglie come suoi isolani, nel rispetto delle rispettive origini e tradizioni. Ma l’equilibrio si rompe; la situazione esplode e travolge ogni cosa e persona.  

Ne rimangono lutti , violenze, separazioni, distruzione.

…”mentre le religioni si scontrano per l’ultima parola e i nazionalismi propalano un senso di superiorità ed esclusività, da ciascun lato le superstizioni convivono in splendida armonia”.

Però l’amore per la famiglia e per le proprie origini è più forte .

L’amore, quello irragionevole, che è  l’unica cosa che l’uomo non ha ancora distrutto.

Quello che ti fa sentire che l’altro è la tua casa e il tuo paese , che senza quella persona non hai né l’uno né l’altro.

Ed è così che inizia la storia

Il romanzo incuriosisce fin dalle prime pagine perché è a due voci; la storia è narrata da una persona e da un albero di fico.

Entrambi arrivano a Londra da Cipro; la piccola Ada è solo un embrione e il ficus carica è solo una debole talea. Chi li curerà, li proteggerà e li farà crescere è una famiglia ormai clandestina nella terra cipriota. Sono un greco e una turca innamorati, costretti a fuggire e a lasciare ogni cosa.

Kostas greco e Dafne turca da ciprioti diventano immigrati a Londra,

“ sempre un po’ a disagio nel mondo che li circonda. Al tempo stesso grati per le opportunità che la vita gli ha offerto e perennemente segnati da quelle che gli ha sottratto …” .

La pianta di fico , che insieme a loro mette radici in questa fredda terra, vive i loro disagi e vorrebbe potergli dire che

“la solitudine è un’invenzione umana. Le piante non si sentono mai sole. Gli umani sono convinti di sapere per certo dove inizia il loro essere e finisce quello di un altro; ma con le radici intricate e aggrovigliate sottoterra, insieme a funghi e batteri, gli alberi non coltivano questa illusione. Per loro tutto è concatenato …” .

La superficialità degli umani non coglie neanche la complessità della terra: in una zolla sono contenuti miliardi di elementi, altrettanti colori; ha calore e vita.

La complessità della terra è la sua vera ricchezza che gli umani spesso trascurano. Le piante sono più sagge anche nel vivere il tempo: per gli umani il tempo

“ è lineare, un continuum uniforme tra un passato … concluso … e un futuro.. intatto …” …” La fame di novità della specie umana è insaziabile …” “ il tempo arboreo è ciclico. Ricorrente, perenne; passato e futuro respirano in uno stesso istante … nessuna pianta cresce a linee dritte, a curve perfette o ad angoli magistralmente squadrati … si piega, si torce e si biforca in forme stravaganti, gettando rami di meraviglia e archi di invenzione ….”

L’autrice ha una grande capacità narrativa e il libro è gradevole in ogni sua parte. Vivace e divertente a tratti, ma anche drammatico e nostalgico. Molto interessante perché ricco di informazioni di botanica specie nella parte riguardante la cura e la conservazione della pianta di fico che può diventare immortale.

Elif Shafak

Si alternano racconti storici e leggende che l’autrice definisce racconti

“che la storia ha dimenticato”. Scienza e superstizione che l’autrice definisce “l’ombra della paura ignota”.

Epilogo

Nell’epilogo della storia si può ritrovare conferma della scienza dell’epigenetica. Non si scappa dal passato. Resta intatto dentro di noi. Non lo si può nascondere alle generazioni future: va elaborato e superato insieme.

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