Un recente studio, portato avanti dal Centro per la malattia di Alzheimer di Pechino in collaborazione con l’Ospedale Anding e il Dipartimento di Psichiatria dell’Ospedale Popolare provinciale di Zhejiang, ha constatato che è possibile predire l’insorgenza della malattia di Alzheimer già 18 anni prima che compaiano i sintomi.

La malattia di Alzheimer, che prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che nel 1906 ne descrisse per primo le caratteristiche, è attualmente la forma più comune di demenza. Si tratta infatti di una malattia neurodegenerativa che porta ad un graduale deterioramento della memoria e delle abilità intellettuali le cui conseguenze possono interferire con la vita quotidiana.

A differenza di quello che si crede, la demenza di Alzheimer non è una malattia della vecchiaia. Difatti, sebbene la maggior parte dei pazienti abbia più di 65 anni, tuttavia esistono casi in cui la malattia insorge già a partire dai 40 anni d’età.

Alzheimer. I numeri

Come ha dichiarato la Società Internazionale dell’Alzheimer, ad oggi la malattia colpisce circa 55 milioni di persone nel mondo, un numero che, secondo gli studiosi, è destinato ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni, considerando anche la costante crescita dell’aspettativa di vita. Sebbene non si sia ancora compreso il motivo, la malattia sembra colpire maggiormente le donne, circa 21 milioni sono affette da Alzheimer, rispetto agli uomini, che sono solo 11.4 milioni

Inoltre, l’OMS ha annoverato l’Alzheimer tra le 10 principali cause di morte nel mondo. In Europa, per esempio, si stima che la demenza di Alzheimer rappresenti più del 50% di tutte le demenze registrate, con una prevalenza della popolazione over 65 che si aggira intorno al 4.4%.

Il sintomo più comune dell’Alzheimer è la perdita di memoria e la difficoltà a ricordare informazioni apprese di recente. Oltre a questi, ulteriori possibili sintomi sono il disorientamento, i cambiamenti di umore e di comportamento e le difficoltà motorie. Inoltre in tale patologia si osserva un graduale deterioramento di almeno altri due domini cognitivi, tra cui il linguaggio e la percezione visuo-spaziale.

È possibile distinguere tre fasi nel decorso della malattia:

  1. La fase iniziale, in cui il paziente manifesta i primi sintomi della perdita della memoria a breve termine;
  2. La seconda fase, in cui il paziente comincia a mostrare difficoltà nel riconoscere i parenti e gli amici, vaga senza uno scopo in casa o nei dintorni della propria abitazione e molto spesso non è in grado di fare ritorno autonomamente presso la propria dimora. In questa fase si manifestano anche i primi cambiamenti comportamentali accompagnati da ansietà, insonnia e mutamenti di personalità;
  3. L’ultima fase, in cui il paziente non è più in grado di riconoscere le persone che gli sono vicino, non comprende le parole e ha difficoltà in attività quotidiane come vestirsi, mangiare e deglutire.

Tenendo a mente questa suddivisione, i ricercatori hanno stimato che, in seguito all’insorgenza dei sintomi, chi soffre di Alzheimer può vivere in media otto anni. Tuttavia, grazie ad un supporto psicologico e domestico, alcune persone sono riuscite a sussistere anche 20 anni dopo l’arrivo della diagnosi, il che ci aiuta a comprendere come in realtà l’evoluzione della malattia possa avere tempi diversi che possono variare a seconda dell’età e delle condizioni di salute in cui versa il paziente.

Qual è la causa?

Ad oggi, le cause della malattia di Alzheimer non sono ancora note. Tuttavia, molti studi hanno dimostrato che il fattore genetico svolge un ruolo fondamentale, in quanto circa il 5-15% dei casi ha carattere ereditario. Infatti, coloro che hanno un genitore, un fratello o una sorella che soffre di questa malattia hanno maggiori possibilità di sviluppare la malattia rispetto a coloro che non hanno un parente di primo grado con Alzheimer. Tuttavia, è bene sottolineare che il fattore genetico non è un elemento necessario alla comparsa della malattia.

Da un punto di vista pratico, se si guardasse nel cervello di una persona malata di Alzheimer si noterebbe la presenza di aggregati della proteina β amiloide () e di un’altra lesione tipica di questa malattia, ovvero i grovigli neurofibrillari composti dalla proteina Tau. La formazione di questi ammassi proteici provoca, da un lato, la morte dei neuroni, le cellule nervose del nostro cervello che una volta scomparse non possono rigenerarsi; e dall’altra la compromissione delle cellule giliali, le cellule di sostegno del sistema nervoso centrale. Come ci suggerisce il nome, dal greco glia ovvero colla, la loro funzione principale è quella di creare una guaina che riveste i prolungamenti dei neuroni, formando così una barriera che impedisce alle sostanze chimiche di arrivare al sistema nervoso.

La presenza di accumuli di proteina β amiloide nel cervello fa sì che le cellule gliali rilascino fattori tossici che a loro volta innescano un processo neuroinfiammatorio cronico che porta alla morte dei neuroni. Si viene così a creare un circolo vizioso molto difficile da fermare e per cui, oggi, non c’è cura

Gli attuali trattamenti consentono solo di rallentare il decorso della malattia ed alleviare i sintomi della demenza, ma la ricerca è impegnata a livello globale per trovare delle cure che permettano di ritardare la sua insorgenza e impedirne lo sviluppo.

Cosa ci dice lo studio cinese

Tra il gennaio del 2000 e il dicembre del 2020, i ricercatori del Centro per la malattia di Alzheimer di Pechino, dell’Ospedale Anding e del Dipartimento di Psichiatria dell’Ospedale Popolare provinciale di Zhejiang hanno portato avanti uno studio che ha visto la partecipazione di migliaia di persone con l’obiettivo di comprendere meglio la progressione della malattia di Alzheimer.

Il team, guidato dal professor Jianping Jia, ha osservato un aumento nella concentrazione della proteina β amiloide 40 e 42 nel liquido cerebrospinale già 18 anni prima che il paziente ottenesse la diagnosi clinica della malattia, seguita da altri marcatori come la proteina Tau e segni di atrofia dell’ippocampo, una parte del cervello cruciale per la memoria, che diventano più evidenti man mano che la malattia progredisce.

La ricerca ha inoltre identificato diversi geni associati all’Alzheimer, come la variante genetica APOE4, che sembra aumentare il rischio di insorgenza della malattia.

Il morbo di Alzheimer è una malattia devastante che priva gradualmente le persone della loro indipendenza e della loro identità. La speranza è che, grazie ai progressi della ricerca, si possa un giorno trovare una cura definitiva per restituire dignità e serenità a milioni di persone nel mondo.

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