Dopo l’investitura ufficiale della convention democratica e in attesa del dibattito televisivo con Donald Trump, che si terrà il oggi, 10 settembre, Kamala Harris ha rilasciato la prima intervista ufficiale alla CNN come candidata alla Presidenza degli Stati Uniti, per cui si voterà il 5 novembre.

27 minuti di intervista congiunta con il suo vice designato, Tim Walz, in cui Harris ha chiarito la sua posizione su alcune questioni cruciali, come la gestione dell’immigrazione, la posizione sul Medio Oriente e la crisi climatica.

L’attuale vicepresidente ha mostrato di aver cambiato alcune delle sue posizioni rispetto al passato sebbene, ha ribadito, i suoi valori siano sempre gli stessi. Ad esempio, Harris ha dichiarato di non voler bandire la pratica del fracking, una tecnica per estrarre gas e petrolio dalle rocce che alimenta un settore chiave nello stato in bilico della Pennsylvania, ma che è allo stesso tempo molto controversa per gli effetti sull’ambiente.

«Possiamo sviluppare una energia pulita senza vietarlo», ha specificato.

Altra questione pungente è l’immigrazione clandestina, con le grandi carovane che continuano a partire dal centro America in cerca di un futuro migliore. Sebbene Harris in passato si sia dichiarata a favore della depenalizzazione, in questi giorni si è impegnata a far

«rispettare e applicare le leggi sulle persone che attraversano illegalmente la nostra frontiera».

Un bel ribaltamento di posizioni, insomma, in cerca dei voti di quella middle class che in passato si è lasciata affascinare da Donald Trump, in particolare in stati ancora molto dipendenti dall’estrazione del carbone e del petrolio, e che è sempre più terrorizzata dalle conseguenze di un’immigrazione clandestina incontrollata. In merito, per altro, Harris ha puntato il dito sull’accordo bipartisan sul tema bocciato però da Trump durante la sua presidenza.

La caccia ai voti moderati potrebbe essere essenziale a novembre per Kamala Harris

I toni della campagna di Donald Trump sono diventati sempre più estremi e spregiudicati negli ultimi mesi. Uscito di scena Joe Biden, preso di mira perché troppo vecchio e mentalmente e fisicamente incapace di sostenere un altro mandato (sebbene Trump abbia appena tre anni meno del presidente uscente), il candidato repubblicano ha cercato di attaccare Harris perché estremista, comunista (il grande spauracchio americano), accusandola di non essere un vero avvocato perché bocciata all’esame di abilitazione la prima volta o mettendo in discussione la sua identità di donna nera. Kamala Harris ha origini afroamericane e caraibiche da parte di padre e indiane da parte di madre, ma secondo Trump non si sarebbe mai definita nera prima della campagna presidenziale.

Non è la prima volta: in passato Trump ha contestato la nazionalità di Barack Obama, sostenendo che non fosse nato negli USA e quindi non potesse candidarsi alla presidenza. Obama mostrò il suo certificato di nascita a un evento pubblico, un fake secondo molti sostenitori trumpiani.

D’altro canto, il candidato repubblicano ha assunto toni più religiosi, in particolare dopo l’attentato di luglio, ringraziando Dio per avergli salvato la vita – segno, secondo lui, che sia volontà divina che ritorni alla Casa Bianca – e ha scelto un vice anche più estremista, che ha irritato con le sue dichiarazioni una grossa fetta dell’elettorato femminile.

Secondo i sondaggi, potrebbe esserci dunque una parte di elettorato moderato repubblicano che potrebbe non voler votare per il candidato designato dal partito, un bacino di voti che Harris potrebbe assicurarsi per conquistare la maggioranza in quegli swing states che spesso determinano la vittoria elettorale. Per questo motivo la vicepresidente si è impegnata anche ad avere un membro repubblicano nel suo gabinetto di governo, per garantire una pluralità di voci ed esperienze.

Gli stati “in bilico” che potrebbero determinare il prossimo presidente americano

Gli USA sono pronti per avere
un presidente donna?

La strategia dei democratici, che hanno riorganizzato la campagna elettorale in poco più di un mese dopo la rinuncia di Biden, sembra quindi a puntare a convincere quanti più indecisi sulle questioni calde, invece di un piano strutturato e basato sui documenti.

Tuttavia, il sondaggio pubblicato giovedì da Reuters sembra dare ragione a questo piano eletotrale: Harris sarebbe avanti di circa quattro punti percentuali nelle preferenze (45% a 41%, +3% per Harris rispetto allo stesso sondaggio di un mese fa).

La candidata democratica riscuoterebbe in particolare successo tra le donne e gli ispanici, +13% rispetto a Trump. Il suo avversario però ha maggiore riscontro tra gli uomini bianchi e i votanti non laureati, sebbene il suo vantaggio si sia dimezzato in un mese, da +14% a +7%. Considerando la situazione negli stati chiave, Harris sembrerebbe in vantaggio di un paio di punti (con un punto percentuale di margine di errore) in tutti e sette.

Tuttavia, Kamala Harris deve fronteggiare il doppio pregiudizio di essere parte di minoranze etniche e di essere donna. Se dal punto di vista del colore della pelle Barack Obama ha già aperto la via, gli USA non hanno ancora eletto una leader donna: ci ha provato Hillary Clinton, perdendo proprio contro Trump nel 2016 (sebbene come numero di voti avesse vinto, il sistema dei grandi elettori non ha giocato a suo favore) e uscendo sconfitta nel 2020 alle primarie contro Joe Biden.

La campagna di Clinton sta dando diversi spunti di riflessione alla nuova candidata: Harris si sta concentrando su come potrebbe migliorare la vita delle donne, a cominciare dal ripristino del diritto all’aborto legale a livello federale, a due anni dal ribaltamento della sentenza Roe vs Wade. Tuttavia Harris non si definisce esplicitamente femminista e non parla di soffitto di cristallo.

Sfondare il soffitto in silenzio, la sfida di Kamala Harris a novembre

Come spiegano Emanuela Griglié e Guido Romeo in Maschiocrazia. Perché il potere ha un genere solo (e come cambiare) (Codice Edizioni, 2024), una grossa fetta di elettorato, compreso quello femminile, votano le donne perché donne. Sebbene la leadership femminile sia riconosciuta come positiva da molti analisti e politici ed economisti (ci sono studi, ad esempio, che dimostrano che i livelli di corruzione sono statisticamente più bassi nei Paesi con più donne legislatrici), la parità di genere in quanto tale non è un tema che appassiona o sposta dei voti.

Anzi, lo stereotipo dell’incapacità delle donne di guidare un Paese rimane molto forte e sta crescendo. Secondo l’Indice di Reykjavik, che valuta gli atteggiamenti nei confronti della leadership femminile nei Paesi del G7, dopo una maggiore apertura dopo la pandemia, negli ultimi due anni si è tornati a livelli inferiori a sei anni fa. E se le donne hanno meno pregiudizi rispetto agli uomini, ciò non vuol dire che ne siano totalmente libere a loro volta. Sorprendentemente, lo studio di quest’anno mostra come i giovani tra i 18 e i 34 anni siano la fascia di popolazione con maggiori riserve in tal senso.

Non deve sorprendere quindi che Kamala Harris stia cercando di andare oltre l’idea che sia tempo che una donna diventi presidente per giustizia sociale, ma mostrandosi come la candidata più equilibrata, affidabile e competente. Tuttavia, è interessante osservare come le sue narrazioni in campagna elettorale si concentrino su sua madre, in un Paese che basa il suo mito sui padri pellegrini e i padri fondatori, rivendicando la sua appartenenza alla classe media, la volontà della madre di autodeterminarsi rifiutando un matrimonio combinato e impegnandosi per conquistare il sogno americano.

Una narrazione che richiama molti dei temi cardine della narrazione tipica dei candidati alla presidenza, ma declinati al femminile in modo non urlato, in cui persone di ogni etnia si può ritrovare ed empatizzare.

Il prossimo appuntamento chiave sarà il dibattito televisivo del 10 settembre. I due comitati elettorali hanno trovato l’accordo sulla data e sulla maggior parte dei dettagli: i candidati staranno in piedi e non potranno utilizzare fogli e appunti. Inoltre, durante il tempo concesso all’avversario, avranno il microfono spento: la richiesta è dello staff di Trump, forse per evitare che si complichi la campagna con le proprie mani con qualche gaffe e dichiarazione avventata. Nessuna delle due parti inoltre avrà le domande in anticipo.

Sarà un palco fondamentale per Kamala Harris per dimostrare la propria competenza e affidabilità all’elettorato americano e consolidare il suo vantaggio nella corsa verso novembre e la Casa Bianca.

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