Stai zitta!”

Sono passati appena cinque minuti dall’inizio del film e questa frase è riecheggiata nella sala buia già tre volte. Stai zitta! Glielo dice il marito, il suocero, poi di nuovo il marito. Delia è una brava donna, ma ha un solo difetto: parla troppo. Roma, fine seconda guerra mondiale, Delia (Paola Cortellesi) vive nel seminterrato di un palazzo popolare di Testaccio con suo marito Ivano (Valerio Mastandrea), i suoi tre figli e il suocero Ottorino (Giorgio Colangelo).

Autoritario e violento, Ivano decide se e quando Delia può uscire, come si deve vestire e amministra i soldi della famiglia. Delia è una moglie devota, sopporta a testa bassa e va avanti accettando l’unica vita che crede possibile. Il suo più grande conforto sono le chiacchiere con Marisa (Emanuela Fanelli), l’amica che ha un banco di frutta e verdura e con cui si confida sugli incontri fugaci con Nino (Vinicio Marchioni), un meccanico che un tempo ha amato e che le fa ancora battere il cuore.

Quando la figlia Marcella annuncia il fidanzamento con il figlio dei proprietari arricchiti di un bar, Delia fa del suo meglio per organizzare un pranzo a casa sua, durante il quale veste perlopiù i panni di cameriera. È questo il momento in cui la sua vita inizia a starle stretta…

Il successo di Cortellesi al Festival del Cinema di Roma

Durante la cerimonia di chiusura della 18ª edizione del Festival del Cinema di Roma, C’è ancora domani fa tripletta collezionando il Premio del Pubblico, la Menzione Speciale Miglior Opera Prima e il Premio Speciale della Giuria. La sceneggiatura scritta da Paola Cortellesi, Furio Andreotti e Giulia Calenda è un tuffo nel passato che sa di nuovo, un omaggio al cinema anni ‘30 e ‘40, e già dalle prime immagini di una lettera misteriosa.

Nella sua opera prima Paola Cortellesi si serve dei prestigi dell’autorialità non solo per la scelta di un bianco e nero che strizza l’occhio al neorealismo in una veste rock ‘n roll, ma anche per l’assenza di un incidente scatenante vero e proprio, di un episodio esplicito che avvii la storia. E, tutto sommato, non ne sentiamo la mancanza

Siamo a fine maggio del 1946, sui muri di una Roma post-bellica troneggia la scritta

Abbasso i Savoia, Viva la Repubblica“.

Le donne fanno la fila all’alimentari per comprare la pasta e c’è ancora qualche camionetta degli americani in città. Ma, soprattutto, mancano pochi giorni al 2 giugno e per la prima volta le donne potranno andare a votare, ed è questo l’evento tirante che tesse la trama del percorso di emancipazione di Delia. 

Sono anni in cui il quartiere è un paese e la vita scorre lenta nei cortili condominiali dove le donne si siedono su sedie di legno precarie a cucire e a pelare le verdure, in attesa che i mariti tornino dal lavoro. Tutti sanno che Ivano è violento con la moglie, ma tutti lo giustificano perché è nervoso, sai, è un uomo che ha fatto due guerre… Ottino, il padre, ad un certo punto cerca di farlo ragionare indossando i panni di mentore del maschilismo e regalandoci una delle battute più alte del film:

dai retta al tuo vecchio, nun je poi menà sempre, sennò s’abitua. Qualche caraccata ogni tanto, sennò poi non funziona…

Poco prima di picchiare la moglie Ivano chiude con scrupolo le finestre che affacciano sul cortile. I panni sporchi si lavano dentro casa. E tanto ieri quanto oggi il resto del mondo rimane fuori da quelle mura domestiche che sono sempre più simili ad una prigione. 

La storia gioca sulla forza dei rapporti in una famiglia fatta perlopiù di uomini. Sono due le donne che vivono sotto quel tetto, Delia e la figlia Marcella. Tra loro il rapporto è viscerale, si amano e si odiano in un gioco di riflessi generazionali, nel tentativo di spezzare una catena di Sant’Antonio che le rende vittime dello stesso destino. E quando Delia inizia a sospettare che il fidanzato di Marcella sarà un marito violento, per proteggerla le dice:

“L’uomo te lo devi scegliere bene, sicura che Giulio è quello giusto?”.

Marcella risponde mostrando tutto il dolore e il risentimento di una figlia verso una madre che non si è mai ribellata:

e tu, te lo sei scelto bene?”.

Il cinema sociale italiano

C’è ancora domani aggiunge un importante tassello al cinema sociale italiano che oggi più che mai ha estremo bisogno di esistere. I temi del maschilismo e della condizione della donna ci sono tutti ed è spaventoso di come siano perfettamente incastrati negli anni ‘40 così come oggi: il dislivello tra i salari uomo-donna, il catcalling, la violenza domestica… Un passato che è ancora troppo presente, su cui sarebbe difficile ridere se non fosse per il tocco della commedia all’italiana pensante di cui Paola Cortellesi è da tempo ormai protagonista. 

Un film che arriva dritto in faccia come uno schiaffo di primo mattino. Esco dal cinema e mi rendo conto che la Cortellesi è perfettamente riuscita nel suo intento, che nelle ultime due ore ho sentito così tante volte dire stai zitta che non vedo l’ora di urlare stai zitto tu!. Nella speranza di vedere presto un’opera seconda di questa straordinaria interprete e regista, ne consiglio la visione a tutte le donne e gli uomini che ancora non l’hanno visto. Soprattutto agli uomini. 

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