Ogni giorno, nel segreto della mia stanza, dedico cinque minuti del mio tempo al trash.
Ne faccio una questione d’indagine sociale, ma per farlo davvero, in maniera accurata e non superficiale, bisogna avere il coraggio di analizzare anche l’emisfero più lontano possibile dal proprio.

E così faccio.

Cathy O’Neil, una ricercatrice di matematica fra le più brillanti, autrice, tra gli altri gioielli, di Armi di distruzione matematica, parla spesso di questa importante abitudine a visitare ciò che ci fa schifo, sostenendo di seguire su Instagram solo gente che disprezza, in modo da mantenere attiva, la parte critica del suo cervello, quella a cui tiene di più, quella socialmente più utile.

Così anch’io, pur senza saper risolvere una frazione o un problema di quarta elementare, ho cercato di copiare questo prezioso allenamento della Dottoressa O’Neil ed ogni tanto, senza esagerare, metto le mani nella fanga molle e pre-giurassica dei bassifondi dell’intrattenimento italiano ed internazionale.

In questo contesto, è curioso come tutti i paesi sembrino somigliarsi fra loro, come se la matrice del Male fosse unica e partisse da un solo quartier generale, da una sola, malefica casa di produzione, in grado di creare e diffondere contenuti uguali per tutto il pianeta e disegnando così, tantissime affinità in campo di proposte merdose come forse pochi altri campi di attività sono in grado di esibire, tra nazione e nazione.

Così diversi nell’eccellenza, così simili nella grettezza, giacché quest’ultima ci ricorda che siamo fatti degli stessi bisogni fisiologici.

Spesso, guardando due o tre interventi di qualche ospite fisso, nei principali salotti televisivi, mi segno su un taccuino i concetti esplicitati e poi vi medito sopra un attimo, come fossi raccolta in preghiera: cerco di capire dove quella persona può aver visto del senso in ciò che ha detto o cerco di dargliene uno io interpretando, se per caso siano stati emessi solo insulti o grida scomposte.

Mi spiace, mi ferisce e ho persino la sensazione fisica di sporcarmi, quando sono dentro al trash ma penso che quei cinque minuti siano importanti per la mia crescita personale poiché l’involuzione va conosciuta, sentita addosso e digerita, anche male ma va digerita per poterla poi evacuare e continuare dritti verso l’evoluzione, sperando, un giorno di poterla finalmente incontrare e vedere che faccia abbia.

Nel frattempo, vergognandomi per il mio simile, ridotto in quello stato, cerco risposte definitive ad alcuni quesiti atavici: queste persone sono brutte o fingono di esserlo? Vengono obbligate dai loro superiori oppure si muovono per libera scelta? La mia vita è così faticosa perché sono colpevole di ragionamenti che non riguardano gossip, litigi fra persone un tempo famose, rinchiuse dentro a set televisivi scenografati come fossero case od altre pugnette? Ed infine, perché tutto ciò è alla tv, in orari diurni e ben visibili anche a categorie da proteggere?

Non trovo risposte complete, definitive poiché il male è nel mondo da sempre e bisogna combatterlo come si può, e per combatterlo bisogna conoscerlo e non ignorarlo ma individuare la sua matrice e perseguitarla sino ad estirparla.

Allora, mentre guardo ed ascolto il cosiddetto trash, io, credetemi, mi elevo e sogno anzi, ho delle visioni: dentro agli studi televisivi color azzurro-fatina di Pinocchio o con le poltroncine che aspettano i sederi coi pantaloni di pelle e la volgarità nei globuli rossi, io vedo piovere libri. Vedo grandinare volumi pesanti, tomi che nemmeno il mio professore di filosofia, Vito D’Amato sarebbe stato in grado di leggere, e sì che il professor D’Amato si è letto certi menhir che manco Obelix.

Vedo i libri che, ad un certo punto piovono cattivi, dalla parte dura della loro copertina contro le teste, le spalle, i rossetti rosa fragola, i microfoni ad archetto.
Vedo i libri che si animano, che si aprono e si chiudono, schiacciando mani come tenaglie, come tagliole.

Li vedo come fossero lì per davvero, a farli piangere tutti, quelli del trash, e un po’ mi pento per non aver studiato abbastanza alla scuola perché sarei potuta essere lì, sarebbe potuto andarmi peggio di come siano andate le cose.

Ma vedendo come i libri escano furenti dai bocchettoni dell’aria condizionata degli studios e non si accaniscano contro di me, nonostante il mio 5 fisso in Filosofia ma che invece si concentrino a castigare quelle signore coi tubini a fiori mentre gridano pietà e quei ragazzi con la gelatina sui capelli, facendoli fuggire in lacrime verso l’uscita, io gioisco e penso che allora ci sia speranza e che l’essere umano ha un complice potente per elevarsi: il libro, anche quando viene usato come pietra.
Ma poi i cinque minuti dedicati al trash finiscono e torno in me.
Sono un po’ stanca ma rincuorata.  

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