Ultimamente si fa un gran parlare di immunità di gregge e di effetto gregge, vediamo di approfondire l’argomento per fare chiarezza.

La così dette herd immunity indica il concetto che più è alto il numero di persone immunizzate in una determinata popolazione, tanto minore è la probabilità di un contagio e quindi di diffusione di una determinata malattia alle persone non vaccinate.

Il concetto di immunità di gregge è molto antico e ben noto. Esso ha a che fare con la protezione delle popolazioni dalle infezioni indotta dalla presenza di uno stato immunitario determinato dalla malattia stessa in un certo numero di individui.

Si tratta di un principio generale che, mentre è abbastanza costante per le infezioni naturali, necessita però di una dimostrazione sul piano delle evidenze per ogni singolo vaccino.

Si verifica spesso confusione tra immunità di gregge ed effetto gregge, ma uno studio pubblicato sull’European Journal of Epidemiology ne spiega bene le differenze. 

Immunità di gregge

Possiamo parlare di immunità di gregge quando ci riferiamo alla percentuale di soggetti che possiedono immunità in una data popolazione. La sua misura viene calcolata su un campione di popolazione in rapporto a uno specifico parametro immunitario prescelto. L’immunità di gregge si può raggiungere sia attraverso mezzi artificiali quali i vaccini, sia con mezzi naturali attraverso il contagio inter-umano di virus e batteri presenti in natura.
L’immunità di gregge, o immunità di comunità, è quando gran parte della popolazione di un’area è immune a una malattia specifica. Se un numero sufficiente di persone è resistente alla causa di una malattia, come un virus o un batterio, questi non ha nessun posto dove andare. Nella descrizione originale di herd immunity, la protezione per la popolazione in generale si verifica solo se le persone hanno contratto l’infezione naturale. La ragione di questo è che l’immunità naturalmente acquisita dura per tutta la vita. 

Effetto gregge

Per effetto gregge si intende invece la protezione indiretta osservata nel segmento non vaccinato di una popolazione. Senza alcun dubbio un programma vaccinale di sanità pubblica induce o potenzia un’immunità di gregge, ma non è detto che l’effetto gregge si verifichi, in altri termini la diminuzione di probabilità di ammalarsi nei non vaccinati dipende da vari fattori: effettiva copertura vaccinale, efficacia del vaccino, incidenza reale della malattia, omogeneità di distribuzione dei vaccinati, patogenicità e virulenza del microrganismo, serbatoi naturali di virus e batteri, movimenti della popolazione in un certo territorio.

Attraverso calcoli di statistica sanitaria si è visto che le popolazioni sono protette quando un numero sufficiente di individui ha contratto la forma selvaggia della malattia, acquisendo successivamente immunità permanente. Il concetto di immunità di gregge, pertanto, implica che il rischio di infezione tra gli individui suscettibili in una popolazione diminuisca con la presenza e vicinanza di soggetti immuni (detta anche protezione indiretta o effetto gregge).

Gli infettivologi si sono agganciati a questo concetto e lo hanno esteso anche all’immunità indotta dai vaccini.

In linea di principio tale estensione è possibile, se non si tiene conto di un problema: l’immunità indotta da molti vaccini non è a vita ma spesso è relativamente breve, da 1 a 10 anni a seconda dei vaccini, per di più questa protezione vale solo per l’immunità umorale (IgG) e non locale (IgA). Questo è il motivo per cui spesso sono necessari i richiami. Non è un caso che ora si stia pensando di introdurre richiami negli adulti anche per i comuni esantemi infantili.

Tutto questo senza tener conto che la risposta ai vari vaccini non è uguale in tutti i soggetti, esistono i così detti non responder che non sviluppano anticorpi ed altri che ne sviluppano pochi in relazione alla risposta del loro sistema psico-neuro-endocrino-immunitario.

Ci sono fattori naturali, come l’immunità indotta dall’infezione, e fattori determinati dalle azioni dell’uomo, come la vaccinazione, che esercitano pressioni selettive e spingono il virus a mutare per continuare ad avere un vantaggio selettivo.

I virus a RNA nel processo di replicazione possono generare mutanti minori. Gli anticorpi prodotti attraverso le vaccinazioni molto spesso non sono in grado di legarsi a tutti i mutanti minori, che si replicano e generano la cosiddetta vaccino resistenza, potendo, altresì, aumentare la selezione di mutanti più patogeni.

Walter Ricciardi, intervistato lo scorso 15 luglio durante la trasmissione di La 7 In Onda, alla domanda da dove derivano le varianti rileva che:

derivano dal fatto che il virus trovando un soggetto vaccinato, che quindi in qualche modo gli resiste, cerca di identificare le strade per aggirare la vaccinazione; è una battaglia eterna quella tra i virus e l’uomo”. 

Riferisce Sergio Abrignani, professore ordinario di patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare Romeo ed Enrica Invernizzi, che

dopo la doppia vaccinazione, c’è una quota di persone che può ammalarsi, una volta entrata in contatto con il virus. Non è una certezza, ma una probabilità che può riguardare all’incirca il 10 per cento di coloro che sono stati immunizzati con un vaccino a mRna e una quota compresa tra il 30 e il 40 per cento delle persone che avranno ricevuto la doppia dose del vaccino AstraZeneca. Potenzialmente, a fronte di un milione di vaccinati, centomila persone potrebbero dunque contrarre l’infezione. E, a loro volta, alimentare ulteriori contagi.”

Se un vaccino può conferire una protezione individuale dalla malattia sintomatica senza interrompere la diffusione dell’agente infettante, la mancata vaccinazione del soggetto implica un rischio esclusivamente a carico dello stesso, non sulla comunità. 

È pur vero che il possibile rischio del singolo individuo non vaccinato può riflettersi indirettamente sulla comunità in quanto in mancanza di adeguate cura domiciliari di una determinata infezione si potrebbe andare verso una paralisi di un sistema sanitario non all’altezza della situazione.

Perché l’effetto gregge non è realizzabile

Nello specifico caso del Covid 19 non si potrà mai parlare di effetto gregge perché la diffusione del virus avviene anche in parte attraverso i vaccinati che però sembrerebbero protetti dalle forme gravi. Di conseguenza l’obbiettivo è quello di raggiungere una immunità di gregge globale (non un effetto gregge che sarebbe irrealizzabile) per far ripartire l’economia e non bloccare le terapie intensive.

Tutto però deve tener conto dei rischi/benefici sulla popolazione e del fatto che una immunità di gregge dovrebbe essere estesa a livello planetario per essere veramente efficace.

La chiave per l’immunità di gregge è che, anche se una persona viene infettata, ci siano troppo pochi ospiti sensibili in giro per mantenere la trasmissione: coloro che sono stati vaccinati o hanno già avuto l’infezione non siano in grado di contrarre e diffondere il virus. I vaccini COVID-19 sviluppati da Moderna e Pfizer-BioNTech, ad esempio, sono estremamente efficaci nel prevenire le malattie sintomatiche, ma non è ancora chiaro se proteggano le persone dall’infezione o dalla diffusione del virus ad altri. Ciò pone un problema per l’immunità di gregge. 

Qual è la soglia dell’immunità di gregge?

Secondo la teoria dell’immunità di gregge, nelle malattie infettive trasmesse da individuo a individuo, la catena dell’infezione può essere interrotta quando un gran numero di appartenenti alla popolazione è immune. Quanto maggiore è la percentuale di individui immunizzati, minore è la probabilità che un individuo suscettibile entri in contatto con il patogeno, perché non trovando soggetti recettivi disponibili circola meno, riducendo così il rischio complessivo nel gruppo. Questo concetto è molto plausibile ed esistono modelli matematici, che non sempre trovano riscontro nella realtà, in grado di prevedere, in base al numero dei soggetti considerati e l’infettività del microrganismo (valore di R0), la soglia minima oltre la quale scatta il fenomeno della protezione dell’intera popolazione: questo dato si ottiene semplicemente come risultato dell’equazione:

HIT= 1-1/ R0

Dove HIT indica Herd Immunity Threshold, ovvero soglia per l’immunità di gregge.

Questo semplice calcolo determina quindi i parametri di copertura vaccinale che vengono di volta in volta adottati nelle politiche di sanità pubblica.

Anche se non è del tutto chiaro se i vaccini prevengano la trasmissione, comunque diversi sono gli anelli deboli per raggiungere la Herd Immunity le caso del Covid 19.

“La velocità e la distribuzione del lancio dei vaccini sono importanti per vari motiviafferma Matt Ferrari, epidemiologo presso il Center for Infectious Disease Dynamics della Pennsylvania State University a University Park – una campagna globale perfettamente coordinata avrebbe potuto spazzare via il COVID-19 almeno in teoria. È una cosa tecnicamente fattibile, ma in realtà è molto improbabile che lo raggiungeremo su scala globale”.

Esistono enormi variazioni nell’efficienza del lancio dei vaccini tra i paesi (vedi “Disparità nella distribuzione”) e anche al loro interno.

Un’altra cosa importante da considerare, dice Bansal,

“è la struttura geografica dell’immunità di gregge. Nessuna comunità è un’isola e il panorama dell’immunità che circonda una comunità è davvero importante… Il raggruppamento geografico renderà il percorso verso l’immunità di gregge molto meno lineare, e essenzialmente significa che giocheremo una partita a colpi di talpa con le epidemie di COVID”.

Anche per un paese con alti tassi di vaccinazione, come Israele, se i paesi circostanti non hanno fatto lo stesso e le popolazioni sono in grado di mescolarsi, rimane il potenziale per nuovi focolai.

Le nuove varianti cambiano l’equazione per il raggiungimento dell’immunità di gregge.

“Siamo in corsa con le nuove varianti afferma Sara Del Valle epidemiologa matematica e computazionale presso il Los Alamos National Laboratory nel New Mexico – più tempo ci vuole per arginare la trasmissione del virus, più tempo hanno queste varianti per emergere e diffondersi”.

Debellare il virus è improbabile, conviverci è possibile

Porre fine alla trasmissione del virus è un modo per tornare alla normalità. Ma un altro potrebbe prevenire malattie gravi e morte, afferma Stefan Flasche, epidemiologo dei vaccini presso la London School of Hygiene & Tropical Medicine. Dato ciò che si sa finora sul COVID-19, “raggiungere l’immunità di gregge attraverso i soli vaccini sarà piuttosto improbabile – afferma Stefan Flasche, epidemiologo dei vaccini presso la London School of Hygiene & Tropical Medicine – è improbabile che il vaccino fermi completamente la diffusione, quindi dobbiamo pensare a come possiamo convivere con il virus“.

Anche senza l’immunità di gregge, la capacità di vaccinare le persone vulnerabili sembra ridurre i ricoveri e i decessi per COVID-19. La malattia potrebbe non scomparire presto, ma è probabile che la sua importanza diminuisca e si trasformi in una forma endemica, simile a quella influenzale. Da qui l’importanza di protocolli per le cure domiciliari che possano risolvere l’insorgere di malattia ancora prima di arrivare alla tempesta citochinica che porta al ricovero.

Insomma, la cosiddetta immunità sterilizzante, che si spera offrano i vaccini, sarebbe di grande importanza per raggiungere una situazione in cui il virus non riesce a circolare perché non trova vittime suscettibili al contagio – avremmo così l’immunità di gregge. I vaccini possono impedire la circolazione dei virus in due modi: impedendo che i vaccinati siano infettati, in primo luogo, oppure impedendo che queste persone, seppur contagiate, trasmettano il virus ad altri.

Misurare direttamente questa seconda capacità è molto difficile. Come spiega un articolo sul New Scientist, lo studio che ci è andato più vicino è stato condotto sulle famiglie di 150.000 lavoratori sanitari scozzesi. La ricerca ha trovato che i conviventi di questi vaccinati correvano un rischio di contagio il 30% più basso, quando il loro familiare aveva ricevuto la prima dose dei vaccini di Pfizer/BioNTech o Oxford/AstraZeneca. Era però difficile capire se le persone contagiate nel corso dello studio avessero contratto il covid in casa o fuori, e comunque i vaccinati avevano avuto soltanto una dose: è quindi probabile che il lavoro abbia sottostimato il potenziale dei vaccini nel bloccare la trasmissione.

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