Quando finiscono i problemi a disposizione, la gente contemporanea percepisce il grande peso del vuoto e ne crea subito altri.

Anziché… che so, farsi un abbonamento al giornale di design o imparare una lingua morta, si spreme le meningi su beghe da poter raccontare di avere.

Fino a poco tempo fa, potevi ancora contare su qualcuno che ti parlasse di cose avvenenti che portava avanti durante la propria esistenza, soprattutto nei contesti lavorativi: ci si vantava di un sacco di cose, fino a poco tempo fa. Ormai, a farlo sono rimasti solo i perdenti; oggi, la gente davvero figa si lamenta. Oggi la gente cool si mostra stressatissima ma perché lo è davvero, poveraccia.

Purtroppo però, la causa di questo stress è spesso una monolitica puttanata, creata per tenersi occupata la vita, per far palpitare gli antichi pertugi dell’intelletto che una volta si usavano per fare azione politica. Dismessa quest’usanza, ci si lancia in battaglie da pic-nic domenicale.

Il catcalling, ad esempio.
Ci vuole tempo libero e malizia per trasformare una delle più straordinarie e primordiali usanze sociali in una forma di violenza, in qualcosa che causi stress anziché divertimento.

Non tutto ciò che rimanda al sesso tra sconosciuti è da abolire.
La considerazione che siamo animali, mi ha sempre lusingata.
Qualche anno fa, ero in fila nel traffico, sul Lungotevere. Altezza Accademia di Moda e Costume, piena estate, caldo torrido, finestrini abbassati.
Mi si affianca un tizio ed abbassa il finestrino del passeggero.
Si sporge sul sedile vuoto e con gentilezza e discrezione mi dice, “Chiedo scusa, le serve uno schiavo?”.
Per me, questa è la cosa più piacevole che potesse accadermi in auto, a parte sorpassare Jacques Villeneuve, ma sul Lungotevere non ci posso sperare più di tanto.

Però posso sperare che ci sia ancora qualcuno che usi gusto per improvvisare danze dell’amore, dal vivo, senza chat, senza mettere like (fra poco, anche il like ci offenderà).

Facciamo così: datemelo a me, il catcalling. Me lo piglio io. Mi faccio carico di tutte le torbide didascalie che non volete sentire, che vi offendono.

Vi lascio i cioccolatini, le rose, i tag e mi piglio in cambio i finestrini abbassati, i cantieri paralizzati, i colli dei maschi girati a 360 gradi, come fanno i gufi e gli assioli, che sono bestie notturne e, se un giorno proibissero la notte, ne morirebbero.
Così i maschi e le loro considerazioni per strada.

Perché crocifiggere l’idioma soave e primitivo del catcalling? Ci vuole buon gusto e va messo in ogni cosa, altrimenti si crepa di ciò di cui stiamo già crepando, in questo momento.

Ma a me il catcalling ha sempre fatto tenerezza e messa di buonumore, e se mi togliete anche questo, non mi resta che l’alcol.
Sarebbe sciocco non vedere poesia nel catcalling ma prima bisogna saperla vedere, in generale, la poesia.
Fermatevi, vi prego, a contemplare la bellezza di certe danze primitive anziché proibirle. E se non vi fermerete, non resterà che fischiarvi.

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