Poche persone conoscono l’esistenza di questa malattia sottorappresentata e oggetto di stigma sociale. Si chiamava Sindrome da fatica cronica (CFS) ma, appunto, per via dell’aspetto caricaturale che il nome suggeriva, si è deciso di cambiarlo in encefalomielite mialgica (ME/CFS).

Si tratta di malattia multisistemica, cronica e senza cura, che provoca astenia ma anche disturbi del sonno, della cognizione, del sistema nervoso autonomo, dolori e sintomi simili a infezioni. Da non confondere con la stanchezza dovuta a condizioni come depressione o anemia. Si diagnostica per via differenziale (ossia escludendo altre patologie con sintomi simili) ed è classificata dall’Organizzazione mondiale della sanità tra le malattie del sistema nervoso (secondo il CDC si tratta di una patologia biologica e non psicologica).

Encefalomielite mialgica, la storia di Antonia O.

La storia di Antonia O. (nome di fantasia) è andata così: si ammala di una brutta bronchite mal diagnosticata e senza test COVID finchè, dopo un mese e mezzo di tosse persistente, si mette a letto, non più in grado di svolgere anche il minimo compito quotidiano, tra cui lavorare (è una libera professionista…). Seguono mesi di analisi di tutti i tipi, in tutti i luoghi, pubblici e privati, finchè una infettivologa scopre un valore assai bislacco: la mononucleosi infettiva in atto (nonostante l’avesse già contratta da ragazza, dunque risultato più che insolito). Da lì, si accerta che alle IGG e IGM molto alte, non corrisponde il virus nel sangue, quindi si suppone un falso positivo o una cross-reazione. Dopo un ricovero, viene affidata a uno dei pochissimi esperti italiani di questa malattia, un reumatologo, il quale le consiglia agopuntura, yoga, psicoterapia DBT, e un miorilassante. Appuntamento a un anno e ciao.

Anna O. è allibita, confusa, sola. Non comprende il significato dei consigli medici, che tuttavia accoglie ed esegue pedissequamente (tutti), ma le appaiono sconclusionati: si mette a studiare e scopre un mondo. Ma in famiglia, al lavoro, con gli amici, è difficile spiegare come si senta, difficile credere non sia depressa o pigra. Non riesce a fare più di due videocall di seguito senza andare in confusione mentale, a uscire la sera, a portare la figlia alle feste, a fare la spesa, a fare il giro dell’isolato col cane. La psicoterapeuta intanto non conosce la malattia, il miorilassante le dà perdita di libido (correlazione che scopre solo molti mesi dopo, credendosi responsabile della diminutio o in premenopausa), e non riesce a sostituire la corsa con lo yoga, dato che è una runner da 20 anni (anche se ogni volta che corre, poi non si alza dal letto per due giorni).

Post-exertional malaise, i sintomi

Legge gli studi internazionali e impara che il sintomo principale della malattia è in effetti un violento peggioramento delle condizioni psico-fisiche dopo uno sforzo, ad esempio andare in palestra o concentrarsi a lungo: si chiama post-exertional malaise (PEM) ed è appunto scatenato da sforzi fisici, cognitivi, emotivi o sensoriali oppure da una sovrastimolazione in generale (da una lite col partner a rumori eccessivi, luci persistenti, anche da computer). La PEM può manifestarsi immediatamente oppure con un ritardo di ore o giorni dopo lo sforzo-sovrastimolazione e ha un’intensità sproporzionata rispetto allo stimolo scatenante. Leggo che si parla di disabilità:

“Questi sintomi determinano gravi limitazioni nella vita quotidiana e, nei casi più severi, un alto grado di disabilità (non riuscire a farsi una doccia o vestirsi)”.

Ciliegina sulla torta, il sonno non è ristoratore: poichè l’impulso è di dormire presto e il più possibile, le persone affette dalla ME/CFS in genere dormono tra le 8 e le 12 ore per notte ma al mattino ci si sente lo stesso esanimi. Per quanto rigiarda il deficit cognitivo, il più comune è la “nebbia mentale”, ossia una ridotta velocità di elaborazione delle informazioni e diminuzione dell’attenzione, fino a non riuscire a leggere un libro, seguire istruzioni o ricordare ciò che è stato appena detto. Ci possono essere anche alterazioni della temperatura corporea (“febbricola”) e dolori articolari o cefalee.

Non si sa perchè si sviluppi la malattia, nè esistono ancora marcatori biologici ed esami specifici universalmente acclarati. Il Servizio sanitario nazionale inglese (NHS) ha individuato alterazioni immunitarie e ormonali, predisposizioni genetiche e possibili conseguenze di infezioni virali o batteriche, tra cui soprattutto COVID e Mononuncleosi.

Legge che la ME/CFS è una malattia cronica idiopatica che viene spesso definita “senza cura“:

“Considerando ciò, i compiti principali del professionista sanitario comprendono la spiegazione al paziente dell’importanza di evitare lo sforzo eccessivo e lo stress mentale, il pacing e la somministrazione di farmaci sintomatici quando necessario”.

Il pacing è una strategia personalizzata di gestione dell’energia, non è concepito come intervento curativo o riabilitativo, ma come strategia per gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita.

La prognosi del recupero non dà buone notizie, dato che solo una minoranza dei pazienti torna ai livelli di funzionamento pre-morbosi, con una stima mediana del 5%. I pazienti “guariti” non recuperano il loro livello di salute, ma si sono semplicemente adattati ai sintomi. Si stima che il tasso di suicidio tra i pazienti affetti da ME/CFS possa essere pari a circa sette volte quello della popolazione sana.

Dal 2016 al 2020 la Cooperazione Europea in Scienza e Tecnologia (COST) ha finanziato la Rete Europea sull’Encefalomielite Mialgica/Sindrome da Stanchezza Cronica per valutare le conoscenze e l’esperienza esistenti sull’erogazione dell’assistenza sanitaria per le persone affette da ME/CFS nei paesi europei e migliorare la ricerca coordinata e la fornitura di assistenza sanitaria.

A seguito di questo progetto, che ha coinvolto decine di ricercatori e ricercatrici europee, nel 2021 sono stati pubblicati risultati e raccomandazioni per la diagnosi clinica, i servizi sanitari e la cura per le persone con ME/CFS in Europa. Il rapporto conclusivo ha affermato che l’incredulità, i pregiudizi e la mancanza di conoscenza e comprensione della ME/CFS sono molto diffuse tra i medici di base e che i ritardi diagnostici che ne derivano costituiscono un fattore di rischio, suggerendo un maggiore sforzo di formazione e informazione dei sanitari (con sollecitazione dello IOM e dei CDC).

Le associazioni di pazienti (Cfs Italia, Stanchezza cronica, Anfisc) dal canto loro denunciano la frustrazione dello stigma morale associato a una malattia biologica severa, ma invisibile. Stigma che è stato alimentato da un controverso studio britannico denominato “PACE Trial” pubblicato su The Lancet nel 2011 e su Psychological Medicine nel 2013, successivamente contestato dalla comunità scientifica e dalle organizzazioni dei pazienti, anche attraverso le vie legali mediante ricorso al Freedom of Information Act, e infine qualificato come un caso esemplare di “bad science” che ha fuorviato milioni di pazienti.

In Italia, la malattia ha ottenuto una certa visibilità quando l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga dichiarò che ne soffriva (come il motociclista ex campione del mondo Casey Stoner) e nel 2019 la Regione Veneto ha presentato una proposta di legge nazionale di iniziativa regionale per il “Riconoscimento dell’Encefalomielite Mialgica ME/CFS quale malattia invalidante che dà diritto all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria”, ma attualmente continua a non essere riconosciuta.

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