DECLINAZIONI DI GENERE ATTRAVERSO IL VAMPIRISMO NEL CINEMA
PARTE I
Il vampiro è un essere mitologico che ormai è entrato a far parte della memoria collettiva. Divenne celebre nel XVIII sotto l’influenza del folclore dell’Est Europeo e delle superstizioni balcaniche, ma le sue prime apparizioni sono molto più antiche e si ritrovano in culture come quella mesopotamica, ebraica, greca e romana. Tante leggende che nel corso dei secoli si sono alimentate reciprocamente, fuse con i fatti di cronaca e grazie anche alla contaminazione delle scoperte scientifiche hanno dato origine a diverse tipologie di vampiro, tutte accomunate però dalla brama di nutrirsi della linfa vitale dei loro malcapitati.
L’immaginario collettivo si basa su tradizioni orali che tramandano racconti infarciti di paure personali e timori collettivi ancestrali, oltre che influenzate dalle religioni locali. Nel folclore russo ad esempio si riteneva che i vampiri fossero persone che si erano ribellate contro la Chiesa quando erano in vita.
Poi sono arrivati i libri ad affidare la loro memoria all’eternità ed il cinema a consacrarli a mito.
Sono centinaia i film dedicati ai vampiri, di ogni epoca e nazionalità.
Ce ne sono per tutti i gusti: gonfi con la carnagione scura e sanguigna, emaciati e pallidi, con i denti aguzzi o bocche mostruose, notturni, diurni, mantellati e non, mutaforma, romantici o spietati, aristocratici barricati nei loro castelli o solitari chitarristi, giovani fascinosi o irresistibili brizzolati, seduttori dallo sguardo magnetico o passionali amanti d’altri tempi.
Per alcuni attori interpretare il ruolo del vampiro fu un‘esperienza così profonda da stravolgere la propria vita: ad esempio Bela Lugosi, pseudonimo dell’ungherese Béla Ferenc Dezső Blaskó, interprete del celebre Dracula di Tod Browning (1931) finì per consumare le sue giornate dormendo di giorno e vivendo la notte (probabilmente anche perchè morfinomane). Lugosi, come ricorda anche Tim Burton nel suo Ed Wood, era Dracula (e viceversa) e dopo la sua morte venne sepolto con indosso il mantello del Conte, all’Holy Cross Cemetery a Culver City, in California.
Nella cultura cinematografica contemporanea di consuetudine si parla di vampiro alludendo ad un essere di sesso maschile, ma ad un’analisi più attenta numerose e complesse sono le varianti di genere (come dimostra lo svedese Lasciami entrare di Tomas Alfredsone, 2008) e potremmo sbilanciarci nell’affermare che in principio – e non solo – il vampirismo è donna.
Il tema non è di facile trattazione, per questo ho preferito suddividere l’approfondimento in più parti.
Vamp è il termine che comunemente utilizziamo per la donna mangia-uomini, femminile e sensuale che sceglie le sue prede e si rende irresistibile ai loro occhi; nessuno può resisterle. La locuzione deriva probabilmente dalla parola Vampira, cioè colei che succhia il sangue portando la vittima che cede al suo fascino alla follia e poi alla morte.
Nominata prima vamp della storia del cinema, la misteriosa e conturbante attrice americana Theodosia Goodman, celebre nel cinema muto per aver interpretato A fool there was di Frank Powell (1915), nota come Theda Bara, anagramma di arab death, ovvero morte araba.
Storicamente l’appellativo di Contessa Dracula venne affidato a Erzsébet Báthory, nobile sanguinaria vissuta in Ungheria tra il 1560 e il 1614. Venne accusata di aver torturato e ucciso centinaia di giovani donne al fine di farsi il bagno con il loro sangue per poter preservare la sua bellezza dagli attacchi del tempo.
Con molta probabilità quest’ultima ispirò Sheridan Le Fanu per il suo Carmilla racconto del 1872, in cui la protagonista omonima è una vampira donna che grazie alla sua avvenenza attirava le giovani vittime tra le sue braccia privandole del siero per la bellezza eterna. E sarà proprio la stella Carmilla a suggestionare Bram Stoker per il suo Dracula del 1897.
Forse perché nel vecchio continente il racconto dell’Irlandese Le Fanu aveva avuto un discreto successo o semplicemente perché piuttosto intrigante vista la natura sessualmente allusiva del testo, ma si contano un discreto numero di pellicole con le vampire.
Il primo film horror italiano, I vampiri, diretto da Riccardo Freda (1957) racconta del ritrovamento a Parigi di numerosi cadaveri di fanciulle completamente dissanguate. Il giornalista Pierre Latin, deciso a chiarire il mistero, rimane personalmente coinvolto nell’indagine dopo il rapimento da parte del Vampiro della sua fidanzata. L’insospettabile anziana Marguerite, interpretata da una straordinaria Gianna Maria Canale, rivelerà nel corso del film la sua vera natura e l’interesse morboso che nutriva (nel senso più stretto del termine) nei confronti delle giovani donne attraverso una sequenza senza stacchi di montaggio, opera dell’inventiva del direttore della fotografia ed effettista Mario Bava che riuscì a realizzare il repentino processo di invecchiamento utilizzando semplicemente delle luci colorate.
La Vampira ha bisogno del sangue di giovani donne per alimentare la sua bellezza. Non ci sono canini appuntiti, paletti di frassino o bare in cui adagiarsi al levarsi del sole, ma l’allusione/illusione di carpire l’immortalità del corpo attraverso il rosso fluido corporeo.
Potremmo arrivare ad una tesi: se il vampiro-uomo è alla ricerca dell’immortalità intesa come vita/potere/status sociale eterni, la vampira è, purtroppo analogamente, alla ricerca della bellezza. Semplicemente non accetta il passare degli anni e trova un rimedio piuttosto drastico per evitare che il suo aspetto sfiorisca.
Semplificando, il vampirismo è una questione di forma per la donna e di contenuto per l’uomo, perlomeno per un certo periodo, perché di riflesso fortunatamente si evolverà anche la sua condizione, con non poca fatica. Parafrasando un film di Steno del ’59, Tempi duri per i vampiri, anzi vampire!
E dopo questo primo assaggio, non mi rimane che darvi appuntamento al prossimo articolo.