Calvin Thomas Beck nel suo Scream Queens: Heroines of the horrors (Macmillan Publishers, 1978) inizia il suo libro raccontando che verso la fine degli anni settanta l’immagine della Scream Queen al cinema venne travolta e stravolta da una gracile adolescente ricoperta da una colata di sangue: la protagonista di Carrie lo sguardo di satana (1976) non solo era salita sul podio delle icone del cinema horror del periodo, ma andava a rappresentare tutte le donne tormentate nel mondo, assumendo una posizione che potremmo definire militante. La liceale disadattata, ribellandosi a coloro che la bullizzavano scatenando un’esplosione di poteri esp di intensità apocalittica, incarnava l’inconscio collettivo del femminile (occidentale) che raggiungeva la sua vendetta finale in maniera quasi epica. Così Sissy Spacek, interprete del film di De Palma, nella sua normalità, in un attimo si fece proiezione dei soprusi e della frustrazione di migliaia di ragazze alle prese con i cambiamenti dell’adolescenza.
Il suo era un urlo soffocato, silente. La sua sua rabbia, passata attraverso il suo sguardo divenuto strumento di vendetta, si trasformò in poco tempo in sinonimo di rivincita dei nerds in chiave black.

Ma cos’è, o meglio, chi è una
Scream Queen?

Letteralmente dall’inglese: “Regina dell’urlo, è il termine con cui si identifica un’attrice che lavora nel genere horror, le cui apparizioni e capacità di recitazione nel genere le danno fama e il cui personaggio svolge un ruolo fondamentale nel film”.

Da questa definizione se ne deduce che ci vuole più di un regista alla moda per realizzare un grande film di paura. Ci vuole più di una vecchia casa buia, un mostro raccapricciante o qualche jumpscare. Ci vogliono anche un bel paio di polmoni.

Attenzione: il termine Scream Queen non ha un valore dispregiativo. Non si riferisce alla donna in quanto “sesso debole”, anzi, spesso si tratta di vere e proprie eroine che si ribellano e sfoderano una forza (interiore ed esteriore) inimmaginabile.

Da quando Mary Philbin ha smascherato Lon Chaney nel film muto del 1925 Il fantasma dell’opera, i film dell’orrore hanno iniziato ad inserire con una certa sistematicità eroine spaventate (e, occasionalmente, spaventosi demoni femminili, soprattutto nell’estremo Oriente). E anche se la Philbin ha dovuto urlare in silenzio, il genere ha mutuato un nuovo effetto speciale: l’urlo straziante, divenuto da quel momento elemento imprescindibile del genere.

Fay Wray stabilì presto lo standard nel 1932 con Il mistero del museo delle cere di Michael Curtiz e King Kong da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack.

Gli anni ’40 ci hanno regalato una nuova eroina dell’orrore in Evelyn Ankers, che ha trascorso la maggior parte del decennio in fuga in film come The Wolf Man (1941) e Son of Dracula (1943). L’epoca ha fornito anche altri cattivi sorprendenti, come Simone Simon, irresistibile e bellissima nel noir Cat People del 1942.

Le regine dell’urlo nella fantascienza degli anni ’50

Ma è stata l’esplosione fantascientifica degli anni ’50 a riportare in auge le regine dell’urlo, combattendo i mostri dell’era postatomica con performance iconiche come l’adorabile Julie Adams, divenuta celebre anche per le sue nuotate spiate maliziosamente dal Mostro della laguna nera del 1954.

Gli anni cinquanta segnano anche l’alba dell’era di Playboy e al coro delle giovani fanciulle urlanti si unirono molte pinup in pericolo. Come la badgirl Yvette Vickers, presente sia in Attack of the 50 Foot Woman (1958) che in Attack of the Giant Leeches (1959) e la povera Mara Corday, che, destinata a scontrarsi con animali di grandi dimensioni, si fece strada attraverso Tarantula (1955) solo per sopportare sia The Black Scorpion che The Giant Claw due anni dopo.

Le enigmatiche scream queen
degli anni ’60

Ma saranno gli anni ’60 a darci le protagoniste femminili più misteriose ed enigmatiche. Come la rossa Hazel Court come The Premature Burial (1962) e The Masque of the Red Death (1964). O la bellezza oscura di Barbara Steele, un’attrice inglese icona dei gotici italiani ne La maschera del demonio (1960) e L’orribile segreto del dottor Hitchcock (1962).

I film sui vampiri, con i loro impegni notturni, fornivano un ottimo terreno di caccia per i mostri femminili. Ingrid Pitt fu protagonista della commedia horror inglese più audace di sempre, recitando nei panni di una sexy-vampira in The Vampire Lovers (1970) e, nel 1971, sia in Countess Dracula che The House That Dripped Blood.

Ovviamente, i film dell’orrore ritagliavano ancora spazio per una bionda terrorizzata. Le urla stravolgenti di Janet Leigh in Psycho degli anni ’60 hanno allontanato le persone dalla doccia per anni. E Tippi Hedren e Mia Farrow hanno urlato in modo memorabile – e per lo più senza successo purtroppo – per chiedere aiuto rispettivamente in Uccelli (1963) e Rosemary’s Baby (1968).

Ma negli ultimi decenni, i film di mostri hanno preferito lanciare le donne in parti più attive, come Linda Blair in The Exorcist (1973). Più spesso, sono l’obiettivo principale che, dopo essere stati inseguite per circa 80 minuti, ribaltano coraggiosamente la situazione. Pensate ad Heather Langenkamp nei panni di Nancy Thompson, che supera in astuzia l’arguto Freddy Krueger in A Nightmare on Elm Street del 1984 (e poi torna per altri due sequel). O Neve Campbell, che non solo è sfuggita all’assassino di Scream del 1996, ma è anche sopravvissuta ad altri tre sequel.

Poi c’è la figlia di Janet Leigh, Jamie Lee Curtis, che ha fatto il suo debutto nell’Halloween del 1978. All’inizio, la sua Laurie Strode era terrorizzata; sia nel film originale che nel suo primo sequel, ha bisogno del dottor Loomis di Donald Pleasence per scacciare davvero l’uomo nero. Ma Laurie è cresciuta man mano che la serie andava avanti e con la sua quarta – e forse ultima – apparizione nella saga, è diventata una sorta di Rambo al femminile.

Ma esistono solo regine dell’urlo?

Dalla descrizione sembra che il ruolo si addica solo alle interpreti femminili facendo sottendere che sia una cosa di donne, ma in realtà il cinema da brivido è costellato di un numero piuttosto consistente di uomini urlanti.

Rachel Roth definisce l’ascesa degli scream king, ovvero i re dell’urlo, come risultato dell’allontanamento dalle formule in cui gli uomini sono tipicamente scelti come mostri che un personaggio femminile deve combattere; e le attrici femminili vengono lanciate meno come vittime e anzi talvolta addirittura come mostri o cattivi stessi. La questione della paura è diventata negli anni più fluida, senza connotazione di genere.


Bruce Campbell viene unanimatamente riconosciuto come primo esempio di Scream King per il suo ruolo nella saga de La Casa di Sam Raimi.
Tra gli attori degni di nota che si sono guadagnati la reputazione di Scream King ci sono Patrick Wilson, Daniel Kaluuya per la sua interpretazione in Get Out, e Shawn Roberts. Ma anche Bill Moseley, Robert Englund, Kane Hodder, Sid Haig e Shawn C. Phillips.
Indimenticabili anche Kevin Bacon in Venerdì 13 e Johnny Deep Nightmare on Elm Street.
Le serie televisive hanno contribuito a sdoganare il ruolo dello Scream King con attori come Jensen Ackles e Jared Padalecki in Supernatural, la serie Netflix Scream oltre che con American Horror Story, la serie horror per eccellenza incarnata magistralmente dal versatile Evan Peters.

I nomi sono tanti, ma allora, perchè il termine Scream King non viene utilizzato nello stesso modo e con la stessa frequenza? Perchè ci riesce difficile definire Vincent Price, icona del genere degli anni cinquanta e sessanta, come re dell’urlo? Forse perché l’atto del gridare lo associamo ad una debolezza, al chiedere aiuto?


La questione di genere si inserisce non tanto nel cinema di paura tout court (andrebbe fatta una disamina per epoche e filoni) ma quanto invece nella comunicazione talvolta ambigua che ha portato ad utilizzare un’etichetta piuttosto che un’altra connotando non solo il genere ma anche i personaggi dei film.

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