Celleno è il borgo gemello di Civita di Bagnoregio: stessa formazione geomorfologica e stessa storia. Ma se Civita di Bagnoregio è assurta ormai a borgo internazionale per il suo fascino di città che muore, Celleno al contrario resta ignoto ai più, isolato in un territorio aspro e selvaggio fatto di arditi speroni tufacei e profonde forre.

Eppure può vantare lo stesso paesaggio di Civita: siamo nell’area teverina, dove si vanno a sovrapporre tre apparati vulcanici (vulsino, cimino, e sabatino), ma con una particolare prevalenza dei tufi rossi e basali del complesso vulsino che si sono sovrapposti ad un substrato di argille pleistoceniche.

Un territorio fragile, friabile, in cui i continui smottamenti, le frequenti frane, ed i violenti terremoti della storia hanno isolato questi borghi, che appaiono arroccati sulla cima di sottili rocce di tufo che il vento modella gradualmente, levigandole, centimetro dopo centimetro, nel corso dei secoli.

La zona è anche chiamata terra dei calanchi, e qui, a dire il vero, sono sette i borghi che vantano posizioni spettacolari sulla sommità di rupi tufacee circondate da queste creste argillose.

Celleno e i fantastici sette

I sette borghi della Teverina sospesi nel vuoto sono Civita, che è il più famoso, Lubriano, proprio di fronte a Civita, Castiglione in Teverina, circondato da splendidi vigneti e uliveti, Civitella d’Agliano, Graffignano, Bomarzo e Celleno, tutti più o meno con le stesse caratteristiche geomorfologiche.

Ma è Celleno quello che più di tutti seduce per il contrasto tra la drammaticità del paesaggio, con la rupe aspra e tagliente su cui sorge, e la serenità del villaggio che, seppure abbandonato, ancora conserva le sue botteghe, ricostruite nelle loro caratteristiche con dovizia di particolari grazie all’attento lavoro di recupero della Pro Loco di Celleno.

Un’antica cucina ricostruita nei dettagli con oggetti d’epoca (Photo by Fabio Murru)

Qui i volontari della Pro Loco (tra cui l’instancabile Piero Taschini) hanno ricostruito ambienti di raro fascino contadino, con il recupero di oggetti dei secoli passati donati dalle famiglie cellenesi: antichi setacci, mortai, ciotole ed altri utensili da cucina arredano le poche case rimaste ancora in piedi.

Si visitano ambienti storici miracolosamente rimasti intatti, come l’antico forno per il pane, che vanta una straordinaria volta in mattoni, oppure la bottega del ciabattino, che fu l’ultima casa abbandonata quando fu costruito Celleno Nuovo.

Il grande forno con la volta in mattoni di cotto (Photo by Fabio Murru)

Su tutto domina, incontrastata, la rocca Orsini, un edificio fortificato che risale all’anno mille, e che passò di casata in casata, dai Tignosi agli Alessandri, dai Gatti agli Orsini, per poi diventare possedimento della Chiesa ed essere acquistato, negli anni ’70, dal grande artista contemporaneo Enrico Castellani, considerato come uno dei padri del minimalismo, uno dei più importanti protagonisti dell’arte astratta europea del ‘900 insieme a Piero Manzoni.

Di certo il suo sguardo asciutto, capace di liberare la materia da ogni fronzolo e da ogni frivolezza per giungere alla sua purezza, aveva colto in quei pochi ruderi di pietra l’espressione massima di quella monocromia che lui stesso aveva saputo esprimere nelle sue tele totalmente bianche caratterizzate da una ripetizione di pieni e di vuoti.

L’uso che Enrico Castellani fa della tela è infatti qualcosa di rivoluzionario. La tela è vista dall’artista come una costrizione. Per questo, usando chiodi e sagome di legno, egli crea delle estroflessioni ritmiche che diventeranno l’emblema del suo stile concettuale. Sotto le punte dei chiodi le tele si incurvano creando spazi concavi e convessi, protuberanze e rientranze, sulle quali la luce disegna giochi di ombre, alternanze di pieni e di vuoti.

Superficie argento – Enrico Castellani 2008 – Archivio Enrico Castellani (fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Enrico_Castellani,Superficie_argento(2008).jpg)

Quelle stesse alternanze di pieni e di vuoti che il piccolo borgo di Celleno disegna sullo sfondo di un cielo azzurro con le sue case dirute affacciate a precipizio nella forra.

E così antico e contemporaneo finiscono per incontrarsi, in questo borgo di tufo, nella frizzante immaginazione di Enrico Castellani che nelle sue opere finisce per declinare i temi del tempo, dello spazio e del ritmo, ispirato da questo luogo in cui tempo e spazio diventano valori relativi dai contorni sfumati.

Photo by Fabio Murru
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