Una riflessione sul libro PA Brand Expert. Competenze e strumenti per i comunicatori della pubblica amministrazione

Esiste una pubblica amministrazione che funziona.
Vive una pubblica amministrazione che ha ben compreso di avere il dovere costituzionale di farsi capire.
Esiste una pubblica amministrazione che, da alcuni anni, ha riconosciuto i social network come vero e proprio servizio pubblico.
Esiste una realtà pubblica che ha deciso di spostarsi dalla cultura del silenzio al quella del dialogo.
Questo mondo è raccontato con dettagli, dovizia di particolari e tanta passione nel libro “#PA Brand Expert. Competenze e strumenti per i comunicatori della pubblica amministrazione” di Annalisa D’Errico e Gianluigi Bonanomi, pubblicato per Franco Angeli.

Pa Brand Expert
Il libro

La PA Social

Non è solo un modo dire, ma una realtà, nata nel 2015 che, nel corso di questi anni, ha raccolto e diffuso le buone pratiche della comunicazione pubblica attraverso i social focalizzando l’attenzione proprio, da un lato, sulla necessità di professionalità competenti coinvolte nel processo, dall’altro sulle tante esperienze positive presenti nel Paese ma che apparivano isolate e sempre più come eccezione ai silenzi della pubblica amministrazione.
Con oltre 700 associati, 17 coordinamenti regionali, 150 professionisti nel Comitato Promotore nazionale e 90 tra enti, associazioni, organizzazioni affiliati è la prima associazione italiana dedicata alla comunicazione e informazione digitale, che si muove attraverso web, social network, chat, intelligenza artificiale.
Gli italiani chiedono alla PA risposte in tempo reale, ma solo se coerenti e afferenti alle questioni poste. Una comunicazione credibile e affidabile e quindi capace di prevenire qualunque tipo di evento che possa incrinare la sua solidità e di attrezzarsi nel caso in cui ci sia una crisi di reputazione. Secondo un sondaggio dell’Istituto Piepoli del 2019 per 8 italiani su 10 i social network sono il medium principale attraverso il quale vogliono essere informati dal settore pubblico. Un dato trasversale: ad esempio gli over 55 dichiarano di voler essere informati tramite Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn e le chat.

La PA come brand

La reputazione di una pubblica amministrazione si basa sulla fiducia. La fiducia si costruisce con il dialogo, l’ascolto e la cura. Nel saggio si evidenzia con forza come, nella Social Network Society, ogni pubblica amministrazione deve essere Brand.
Ma cosa significa?
Vuol dire applicare i principi e le strategia di marketing alla pubblica amministrazione. A questa affermazione gran parte di voi potrebbe provare una leggera contrarietà oppure sentimenti peggiori, eppure se si vuole realmente mettere al centro il cittadino, la PA deve adottare le buone pratiche della comunicazione di marketing. Il linguaggio della PA non deve essere affannoso, petulante, burocratico o intellegibile. Nel libro gli autori presentano diversi casi di PA come brand.

Si pensi all’Asl Roma1 che ha posto come principale obiettivo l’idea che

la comunicazione pubblica è al servizio delle persone e deve essere people-centric.



Ciò significa garantire un ascolto costante della propria utenza e un dialogo costruttivo per l’accesso consapevole ai servizi. Prendersi cura delle persone accorciando le distanze attuando anche azioni di employee advocacy. Si pensi alla straordinaria efficacia della campagna legata alla vaccinazione messa in campo con l’obiettivo di facilitare la gestione della vita quotidiana dei cittadini dando informazioni chiare, semplici, tempestive e combattere il diffondersi di notizie non verificate.

Altro caso interessante raccontato nel saggio e che ben si associa all’idea di una PA come brand è quello del Ministero dell’Istruzione. In particolare, dalla sua intervista è evidente il lavoro di progettualità e di creazione di contenuti editoriali necessari per comunicare al meglio le tante iniziative del Ministero.

La comunicazione non è un processo terminale. Non si può pensare che prima si fa, poi si comunica.

Il PA Brand Expert

Dalle tante storie del volume si legge un’urgenza al cambiamento, una necessità impellente e necessaria di saper adeguare modelli ed elementi di comunicazione a una società sempre più interconnessa e digital-oriented.
Ci vogliono i brand Expert. Gli unici in grado di domare la complessità della comunicazione. Ma questa necessità presuppone una profonda revisione delle professioni e dei ruoli dedicati alla comunicazione nella PA.

Al tal proposito nel saggio si affronta il complesso lavoro di revisione della Legge 150/2000 e il superamento con la Legge 151. In questa si prevede la costituzione di un’Area unificata dedicata a comunicazione, informazione e servizi alla cittadinanza in cui operino congiuntamente i profili del Comunicatore e del Giornalista e in cui sia inserita, riconosciuta e valorizzata la competenza in comunicazione e informazione digitale.
In generale, le competenze che dovrebbe avere il Pa Brand Expert sono quelle di un brand Manager, con qualche plus nella cassetta degli attrezzi, come pianificazione, fare sistema, capacità di aggiornamento e orientamento costante all’innovazione.
Obiettivo è sempre il singolo cittadino, le sue richieste, le sue domande, le sue necessità.

Per questo, sul finale, desidero suggerire tre canali che devono assolutamente caratterizzare le azioni di comunicazione social messe in atto dal PA Brand Expert:
Ascolto: gli uffici contemporanei sono i social network, quindi dobbiamo andare incontro ai cittadini e ascoltarli non solo quando chiedono informazioni, ma anche quando criticano o presentano problemi. Al tempo stesso, dare empatia al silenzio, con l’obiettivo di ascoltare le istanze lì racchiuse.
Dialogo: significa costruire un percorso relazionale più ampio con i cittadini che li faccia sentire partecipi delle narrazioni della PA.
Comprensione: vuol dire che PA si doti di tutti gli strumenti necessari per essere consapevole di come e in che modo sta comunicando e, soprattutto, conoscere il posizionamento con gli strumenti di web monitoring e di analisi reputazionale, valutando ciò che dicono (e, se possibile, cosa pensano) non solo i tradizionali interlocutori ma la platea più generale di stakeholder, influencer.

In gioco non vi è solo la professione e il futuro del comunicatore pubblico, ma le condizioni perché vi sia un dibattito più consapevole sulla Pubblica amministrazione che vogliamo e sulle relazioni di valore che costruiamo.


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