6 agosto 1991. L’informatico inglese Tim Berners-Lee pubblica il primo sito internet della storia, dando così i natali al Word Wide Web.
Chi avrebbe potuto immaginare che un progetto giudicato solo tre anni prima vago ma interessante avrebbe cambiato per sempre non solo il mondo delle tecnologie informatiche, ma anche quella sfera pubblica habermasiana conquistata faticosamente dall’individuo moderno?

Quando nella seconda metà degli anni ’90 cominciano ad apparire i primi fenomeni di gruppi civici online e le prime comunità virtuali, viene infatti posata la prima pietra di una strada tortuosa sulla quale si sono incamminate a braccetto la politica e la Rete: quella della democrazia digitale. Grazie allo sviluppo di internet, sembrava infatti possibile generare forme di attivismo in grado di coinvolgere una quantità impensabile di cittadini, in un lasso di tempo brevissimo: erano queste le speranze con cui un folto numero di tecno-entusiasti ha salutato l’avvento di internet.
Tra questi, lo studioso dei media Pierre Lévy che in Cyberdemocrazia espone una teoria politica a dir poco visionaria. Il filosofo – elevandosi al mondo delle idee, sfuggendo ad un’ipotetica doxa pessimista e rivendicando il valore spirituale dell’utopia – è chiamato da Lévy a concentrare le sue riflessioni sulle positive trasformazioni provocate dalla Rete sulla democrazia. L’interconnessione globale resa possibile dallo sviluppo di internet su scala planetaria porterebbe infatti naturalmente, e a breve termine, ad una comunicazione universale, democratica e autoregolantesi. Si giungerebbe così alla fusione di tutte le intelligenze umane in una sola intelligenza collettiva. La teoria smithiana della mano invisibile viene dunque sostituita qui da una benefica mano virtuale che regolerebbe lo sviluppo, naturalmente democratico, del web, accompagnando, messianicamente, l’umanità verso il punto Omega dell’intelligenza collettiva. 

Di fronte ad un’analisi dello scenario davanti al quale ci troviamo, quasi vent’anni dopo la pubblicazione di Cyberdemocrazia, un dato macroscopico balza ai nostri occhi: la direzione che ha preso lo sviluppo della Rete si muove in realtà verso un pluralismo solo di facciata, addomesticato dagli interessi dei grandi monopoli economici ed informatici. Le speranze riposte nel web, in quanto spazio orizzontale capace di democratizzare la sfera pubblica, sono state, agli occhi di molti, disattese.
È così che negli ultimi anni è sorta l’espressione net-delusion, alla quale fa riferimento il sociologo bielorusso Evgeny Morozov. Questa scuola di pensiero ritiene internet un territorio in cui non sono i cittadini, ma bensì i governi autoritari o democratici, a giovarsi della facilità di accesso alle informazioni, utilizzandole a fini propagandistici e per esercitare forme di controllo. Lo sviluppo tecnologico digitale sarebbe quindi il principale alleato dei governi nelle attività di sorveglianza. Inoltre, riguardo alla presunta diffusione di una cultura partecipativa, è stato riscontrato come per la maggior parte essa sia legata a pratiche di attivismo da poltrona in cui l’impegno richiesto ai cittadini è molto basso, illudendoli di contribuire in modo significativo ai processi decisionali.

 Di fronte a questo bivio tra un polo tecno-pessimista ed uno tecno-ottimista, è necessaria una riflessione realistica basata sull’analisi degli esperimenti di democrazia digitale condotti sin ora e sui risultati ottenuti. Solo così sarà possibile stabilire in che modo la Rete sta riscrivendo la politica contemporanea, ed immaginare come questo potrà incidere sul futuro delle nostre democrazie. È necessario ricordare, prima di imbarcarci in questo viaggio alla scoperta della democrazia 3.0, che nell’arco di più di due millenni questa forma di governo ha vissuto una continua evoluzione, subendo importanti modificazioni nel corso della storia. Essa si trova oggi di fronte ad una sfida del tutto inedita: una digitalizzazione rapida, a tratti feroce, della società globale. Sarà quindi compito nostro, e parlo in nome delle generazioni più giovani, assicurarci che la democrazia non solo sopravviva a quest’ulteriore prova, ma che ne esca rafforzata, mantenendo ben salde le garanzie liberali e arricchendosi di nuovi ideali, accompagnando così il ritmo di una società sulla quale soffia, oggi più che mai, l’inarrestabile vento del cambiamento.

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