La collezione di album caratterizzati da una marcata malinconia e, nel contempo, da un livello estetico fuori dal comune, continua con il primo lavoro solista di David Sylvian intitolato Brilliant Trees.

Dopo aver archiviato la prima fase della sua carriera alla guida dei Japan, insieme ai quali aveva influenzato molti altri artisti New Wave(si pensi ad esempio ai Duran Duran) dei primi anni ’80, l’elegante artista inglese decise di cambiare stile per intraprendere un nuovo percorso certamente non facile, creandosi un pubblico tutto suo. In altre parole, sembrò voler abbandonare l’idea di perseguire l’ascesa nell’ambito del mainstream radiofonico e da classifica, per imboccare strade più sperimentali che, evidentemente, lo realizzavano maggiormente a livello creativo.
Il risultato fu un disco di grande classe in cui la sua splendida voce, dal timbro effettivamente unico, potesse risultare ancora più efficace di quanto non lo fosse già stata in passato e al servizio di melodie particolarmente sensuali. A livello strettamente musicale, collaborò con Steve Nye alla produzione e chiamò in studio molti musicisti di talento fra i quali Ryuichi Sakamoto il cui apporto risultò fondamentale e col quale avrebbe poi collaborato, a più riprese, per tantissimi anni ancora.

I brani sono solo 7, ma ogni episodio a suo modo lascia il segno a cominciare dalla prima traccia Pulling punches che, alla fine, potrebbe risultare quasi un corpo estraneo rispetto al mood generale di Brilliant Trees visto il suo ritmo sostenuto e un suono più elettrico nel quale dominano sovente perfino delle chitarre distorte. Certamente però, fece capire sin da subito che ci si trovava di fronte a un lavoro più complesso, che necessitava di un ascolto ripetuto per essere apprezzato a pieno.
Il pezzo più accessibile è invece The ink in the well in cui Sylvian prende per mano l’ascoltatore per accompagnarlo in una dimensione di cullante dolcezza, anche se non ancora fino a raggiungere il cuore dell’oscurità al quale arriverà, a stretto giro di posta, con il capolavoro dell’album rappresentato dalla successiva e inebriante Nostalgia. Si tratta di un brano oscuro, low-tempo, in cui si sovrappongono diversi tappeti sonori intrecciati da moltissimi strumenti, fra i quali spicca (così come nell’episodio precedente) il flicorno di Kenny Wheeler. Un po’ di luce si intravede con Red Guitar che è la canzone più solare e dalla struttura più semplice, nella quale si sente per la prima volta l’intervento – ai sintetizzatori e al piano – del celebre musicista giapponese sopra citato, nonché il cameo di Mark Isham e la sua celestiale tromba. Non tarda il ritorno alla pioggia e alla nebbia dell’anima che inizia con il vortice emozionale dell’incantevole Weathered Wall, (“After a lifetime of living these soiled hands show no life at all”) per poi proseguire con suoni di archi e l’ipnotico incedere di tastiere e piano in Backwaters, caratterizzato da linee melodiche magnifiche, ma tutt’altro che lineari.

Il disco si chiude alla grande con la dilatata Brilliant Trees che è un vero regalo per il suo calore e la sua avvolgente dinamica. In quasi 9 minuti Sylvian e (di nuovo) Sakamoto riescono a disegnare soundscapes indimenticabili mentre il testo racconta poeticamente i forti sentimenti di un uomo per la propria donna:

My whole world stands in front of me by the look in your eyes

Anche se la fredda analisi della sua vita sembra alludere a un epilogo quantomeno incerto

Every plan i’ve made’s lost in the scheme of things , within each lesson lies the price to learn.

Ai lettori curiosi di cogliere il mio (mal dissimulato) consiglio all’ascolto di questo grande disco, suggerisco di non fermarsi, e approfondire l’opera di David Sylvian con almeno i due LP successivi: soprattutto Secrets of the beehive del 1987, che resta un’altra imperdibile pietra miliare.

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