(English translation below)
Li chiamano aggeggi, o più brutalmente cagate; a Firenze li definiamo troiai. A Milano esiste un termine più preciso: ciapapùliver, perché tali oggetti sono buoni solo a starsene lì, appoggiati da qualche parte, in bella vista o in disparte, senza alcuna utilità. Natale è un’occasione per riciclare alcuni di questi arnesi, molti dei quali sono ricordi di viaggi e viaggetti. I famosi piatti, inutilizzabili se non per appenderli alla parete, con l’effige di una città o di un ristorante che sarà piaciuto tanto da comprarci il souvenir, quelle atroci tempestine di neve dentro bolle di vetro con l’Empire State Building o la Fontana di Trevi; la gondolina di plastica con la luce dentro ad accensione intermittente; la selva dei magneti, anche nella variante utile in forma di cavatappi, con qualche parola esotica sopra; le riproduzioni di plastica del Colosseo e le conchiglie colorate e i portachiavi con sopra il nome di una località.

È la chincaglieria del viaggiatore, il souvenir senza il quale non si torna a casa. È quel surrogato di altrove che ci portiamo dietro per ricordarci che ci siamo stati, per tenerlo in bella vista e farlo sapere. Salvo, molte volte, ricredersi appena tornati: la paccottiglia è orrida, buona solo per acchiappare la polvere. Sono un paradosso: a dispetto della pretesa di rappresentare un tocco di colore locale, un cosmopolitismo a buon mercato, sono figli della stessa produzione, tutti Made in China. Eppure, a loro modo, sono tutti messaggeri – di una terra lontana, di un ricordo, del viaggio. Il loro mercato resiste, assai meno il loro utilizzo una volta a casa. 

Duccio Canestrin, in Trofei di viaggi (Bollati Boringhieri),  cita la lamentela di un fabbricante di ricordi alpini sule case moderne, funzionali, lucide, improntate a un loro preciso stile: con spazi che non si adattano più ai souvenir, all’eclettismo e alla spensieratezza di cattivo gusto ma leggera leggera e senza pretese di questi ricordini – il cui destino, una volta a casa, è riciclo, spazzatura, oblio. 

Trofei di viaggi, il cui sottotitolo è Per un’antropologia dei souvenir, ricorda anche una scena in Salvate il soldato Ryan: un soldato americano, appena sbarcato sotto il tiro delle mitragliatrici tedesche, si china, apre un vasetto e raccoglie un po’ di terra di Normandia, per ricordo. 

Una volta  a casa, anche un vasetto con della sabbia eroica rischia di finire ad acchiappare la polvere, altro vano tentativo di fermare un attimo, una visione, una illusoria permanenza in una terra lontana. A casa mia, nel lavandino di casa l’acqua scorre su dei sassolini rossi, che presi nel deserto del Gobi, in Mongolia. Per me hanno un senso, costituiscono una memoria. Ma è tutta privata, e, indecifrabile per altri, quante volte mi è stato chiesto: “ma che te ne fai di quei sassi nel lavandino?”. Con chiunque verrà dopo di me in quella casa, avranno vita breve.

Ma ognuno ha le sue debolezza e coltiva i propri feticci nella forma di souvenir di viaggio, più o meno banali od originali. Abbiamo bisogno di questo effimero aggrapparsi a certi oggetti da nulla, forse ancora di più se insignificanti e made in China. Come la scimmia di Italo Calvino, che trova un proprio senso nel vecchio copertone: ci si balocca e poi lo abbandona in disparte, e poi un giorno lo riprende. Chissà, chiusa nella sua gabbia, quanti mondi ci vede dentro, fosse anche per un attimo.

ENGLISH VERSION

Ephemeral Messengers of a Trip: souvenir Made in China and More

They call them useless little things, or more brutally shit; in Florence, we call them “troiai”. In Milan there is a more precise term: “ciapapùliver” because such good objects are just standing there, resting somewhere, in plain sight or on the sidelines, without any use. Christmas is an opportunity to recycle some of these tools, many of which are memories of trips and trips. The famous plates, unusable except to hang them on the wall, with the effigy of a city or a restaurant that will be liked enough to buy us the souvenir, those atrocious snow storms inside glass bubbles with the Empire State Building or the Fountain of Trevi; the plastic made little gondola with the intermittent light inside; the magnets, also in the useful variant as a corkscrew, with a few exotic words on it; the cheap reproductions of the Colosseum and the colored shells and key rings with the name of a place on it.

It is the traveler’s trinkets, the souvenir without which you can’t go back home. It is a substitute of elsewhere, that we carry with us to remind ourselves that we have been there, to keep it in plain sight and make it known. Except, many times, change our minds as soon as we are back: the junk is horrid, good only for grabbing the dust. They are a paradox: despite the claim to represent a touch of local color, a cheap cosmopolitanism, they come from the same production, all Made in China. Yet, in their own way, they are all messengers – of a distant land, of memory, of the journey. Their market resists, much less their use once at home.

Duccio Canestrini, in Travel trophies (Bollati Boringhieri), cites the complaint of an Alpine souvenirs manufacturer about modern, functional, shiny houses, marked by their own precise style: their spaces no longer suit souvenirs, their eclecticism, and bad taste unpretentious aspect. Once at home, the destiny of such souvenirs is recycling, garbage, oblivion.

Travel trophies, whose subtitle is For an anthropology of souvenirs recalls also a scene in Saving Private Ryan: an American soldier just landed under the fire of German machine guns, bends down, opens a jar, and picks up some land of Normandy, as a souvenir.

Once at home, even a jar with heroic sand runs the risk of catching the dust, another vain attempt to stop a moment, a vision, an illusory stay in a distant land. In my house, in the bathroom, the water from the sink flows over red pebbles, which I took in the Gobi desert in Mongolia. To me they make sense, they constitute a memory. But it is all private, and, indecipherable to others, how many times have I been asked: “What the hell are doing with those stones in the sink?”. With anyone who comes after me to that house, they will be short-lived.

Yet, everyone has this weakness and cultivates his own fetishes in the form of travel souvenirs, more or less banal or original. We need this ephemeral clinging to certain objects of no value, perhaps even more so when insignificant and made in China. It is like Italo Calvino’s monkey, which finds its own meaning in the old tire: she plays with it and then abandons it on the sidelines, and then one day takes it back. Who knows, locked in his cage, how many worlds she sees inside, even for just a while.

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