Se il barone De Coubertin (o chi per lui) ha detto che l’importante è partecipare, io credo che si debba aggiungere anche il seguente motto: assumersi la responsabilità dei propri sbagli e magari cercare di rifarsi in futuro. Sfruttare l’occasione per migliorare se stessi. Oppure per rivalersi contro la malasorte. Ma alle Olimpiadi o nell’agonismo sportivo sono davvero pochi quelli che dicono frasi di questo tipo:

L’errore è stato mio, non di altri. Mi rifarò la prossima volta, con ancora più determinazione”. 

Quasi tutti i concorrenti invece se la prendono con l’arbitro, con l’ambiente o con qualsiasi altra cosa che giustifichi la non vittoria.

Olimpiadi Parigi 2024. Non tutti si lamentano della non vittoria

Eppure ci sono stati alcuni atleti alle attuali Olimpiadi di Parigi che si sono resi diversi rispetto alle solite lamentazioni per non aver vinto e, tra questi, spicca la figura del giovanissimo fiorettista Filippo Macchi.

Quest’ultimo, dopo essere arrivato all’ultimo punto con il suo avversario, il campione olimpionico in carica, il taiwanese Cheung Ka Long, ed essersi visto annullare per tre volte dagli arbitri la stoccata vincente, ha subìto il colpo dell’avversario nel finale e ha perso l’oro. 

Molti hanno gridato allo scandalo sotto la cupola del Grand Palais e soprattutto fuori, sui giornali, sugli organi di informazione, sui social

Soprattutto in Italia. Filippo Macchi, invece, no. Non ha incolpato nessuno, nemmeno l’arbitro. Perché gli errori si possono commettere, fanno parte dello sport e della vita. 

Forse, come ha scritto Massimo Gramellini sul suo Caffè del Corriere della Sera, l’atleta italiano sarà forse andato, appena sceso dalla pedana,

“a sbollire in solitudine da qualche altra parte. Forse lì avrà lanciato un urlo belluino e tirato un cazzotto al cielo, forse avrà sparso una lacrima o strillato una parolaccia: fatti suoi. A noi deve solo interessare che a un certo punto si è ripresentato in pubblico completamente padrone di sé, per congratularsi con l’avversario e prendersi la responsabilità della sconfitta, anziché attribuirla all’arbitraggio”.

Lezione di vita anche per la scuola

Il comportamento di Filippo Macchi alle Olimpiadi è una lezione di vita da seguire e portare come esempio, nelle scuole e non solo. Non tutti possono vincere e la vittoria non è l’unico valore per cui, se non la raggiungi, sei soltanto un signor nessuno. Una società che ragiona così è una società malata e corrotta.

Ma è anche una società intossicata quella che non è in grado di coltivare la cultura dell’errore e che non sa valorizzare lo sconfitto, mentre cerca di scaricare la responsabilità addosso agli altri o trovare sempre un alibi per se stessi. 

Come invece insegna la peggior tradizione italica. 

Quello che conta, invece, è dare il meglio di sé, a prescindere dalle persone con cui ti trovi a competere, nello sport e nella vita. Come ha fatto Macchi e come hanno fatto altri atleti che in queste Olimpiadi non sono saliti nemmeno sul podio ma non per questo si sono lamentati con altri né hanno dato la colpa a presunti complotti o cose simili. 

Ce lo ricorda anche una canzone di Francesco De Gregori, molto amata.

“Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall’altruismo e dalla fantasia”

Francesco De Gregori, La leva calcistica della classe ‘ 68.

Il mio elogio è dunque rivolto a questi atleti e a tutti coloro che, nella vita, si comportano in modo simile. Che lottano per un traguardo e, se non lo raggiungono, non danno la colpa ad altri. Ma si compiacciono per quello che hanno fatto, per gli innumerevoli sacrifici e per gli sforzi profusi. E desiderano, bramano con tutte le loro forze riprovarci, senza alcun rimorso per quello che è stato.

La stessa cosa vale per la scuola, a mio giudizio. Scriveva Natalia Ginzburg, nel suo Le piccole virtù (1962), che noi siamo abituati ormai ad attribuire al rendimento scolastico dei nostri figli un’importanza che è del tutto infondata ed eccessiva.

“Dovrebbe bastarci che i nostri ragazzi non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come pretendiamo, subito innalziamo fra noi e loro la barriera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un’offesa”.

Quindi, viva le medaglie d’argento e di bronzo, viva i secondi e i terzi ma anche i quarti e i quinti classificati, viva chi ci la mette tutta e non vince, viva gli studenti che danno soddisfazione a se stessi e non agli altri, viva tutti i Nino che hanno coraggio, altruismo e fantasia!

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