Uno studio decisamente rivelatore è il Sustainability Waves | ESG Italian Startups, che analizza il tema urgente della sostenibilità a partire dall’aderenza ai criteri ESG (Environmental/ambiente, Social/società e Governance), tra le nostre startup.

Un report patrocinato dalla Commissione Europea e realizzato con il supporto di player come InnovUp, AIFI, She Tech, Italian Tech Alliance, La Carica delle 101 e Aut Studio che mette in luce oltre 100 startup che raccontano il proprio approccio alla sostenibilità.

Risultati, una volta tanto, incoraggianti: secondo il report le startup italiane sono sostenibili per vocazione, e possono essere d’esempio per le istituzioni e per gli investitori, non altrettanto vocati, diciamo.

Più della metà delle stratup hanno avviato percorsi per diventare benefit corporation (57%) o ottenere una certificazione B Corp (38%). Selezionano i fornitori in base a criteri ESG, sensibilizzano i clienti su queste tematiche, usano tecnologie, metodologie e strumenti per ridurre il proprio impatto ambientale e sono molto attente alla parità di genere (il 60% delle startup è governato da un board composto da più del 50% di donne).

Più in salita, invece, la strada per la governance aziendale (sistemi di anticorruzione, policy sul personale, etc.), e il rallentamento sulle azioni pratiche in ottica ESG è dovuto ai costi elevati di attuazione e a un quadro normativo molto articolato.

Il report di Cariplo Factory e le startup

Per le aziende, oggi, la sostenibilità è un tema strategico – ha dichiarato Riccardo Porro, Chief Operating Officer di Cariplo Factory. Si tratta di una rivoluzione culturale ancora prima che economica e finanziaria. La triplice pressione da parte del mercato dei capitali, delle autorità di regolamentazione e dei consumatori, sta spingendo le aziende a interrogarsi sulle proprie capacità di affrontare il cambiamento in atto. Tra le imprese che sono nate con questa vocazione ci sono senza dubbio molte startup. Volevamo raccogliere, misurare e divulgare il percorso di alcune di queste startup che sono caratterizzate da tratti distintivi in termini di aderenza ai criteri ESG“.

Eugenia Romanelli, CEO di ReWorld, startup innovativa a vocazione sociale che organizza il primo festival italiano dedicato alla “S” degli ESG, ossia alla sostenibilità sociale, e ha realizzato con il DIAG Sapienza la prima survey etica multiparametro italiana, ha commentato:

Si tratta di startup che possono davvero fare la differenza per affrontare le sfide urgenti che abbiamo di fronte, sia come persone che come collettività. Non importa se l’82% di loro hanno meno di 10 dipendenti, al momento io non ne ho nemmeno uno! Sono realtà già pronte per raccogliere investimenti e proiettarsi sul mercato non solo nazionale“.

Oltre il 50% delle startup, infatti, si colloca nella fascia alta dell’Investment Readiness Level, l’indice che misura la maturità della startup per la raccolta di capitali. L’aspetto più incoraggiante che emerge, a nostro avviso, è che la scelta di adottare i criteri ESG deriva da ambizioni, motivazioni e obiettivi di carattere ideale: il 52% delle startup intervistate lo ha fatto per il desiderio di agire positivamente, esercitare un impatto e rendere il mondo un posto migliore, mentre solo il 24% ha adottato i criteri ESG in seguito a specifiche esigenze dei clienti o per migliorare la reputazione aziendale (8% del totale) o perché costretti dalla crescente pressione normativa (2%).

Il vero problema ci pare un altro, e cioè un un quadro normativo farraginoso e confuso, la diffidenza verso greenwashing, pinkwashing, rainbowashing etc, e i costi elevati e la scarsa trasparenza di benchmark e indici.

I dati sul rapporto tra
donne e sostenibilità

Interessante notare che sull’aspetto della sostenibilità sociale, il 60% delle startup è
governato da un board composto da più del 50% di donne
e il 59% ha un numero uguale o superiore di dipendenti di sesso femminile.

ReWorld, ad esempio, non solo è al 100% comporta da donne, ma ha un codice etico (il Manifesto ReWriters) relativo ai temi di inclusione, diversità e minoranze, e relazioni strette con associazioni no-profit, prima tra tutte l’Associazione di promozione culturale ReWriters. E’ importante, visto che meno di una su cinque ha all’attivo attività di sensibilizzazione sull’inclusione.

Tanta fatica per nulla? Forse, visto che solo il 24% delle aziende dichiara di aver ricevuto investimenti dedicati all’imprenditorialità sostenibile, di cui il 46% dall’Unione Europea e il 42% attraverso contributi per lo più regionali, con un fabbisogno di liquidità minimamente soddisfacente, visto che nove startup su dieci sono attualmente alla ricerca di nuovi round, di cui più del 30% da oltre un milione di euro: ma ce la faremo!

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