Il Women on Boards dell’Unione Europea propone, per il 2026, 40% di donne in posizioni non esecutive e 33% in direzione. A tal proposito, oggi voglio raccontarvi una iniziativa molto interessante in ambito di gender equality e gender equity.

In Danimarca, alcuni stakeholder (tra cui grandi banche come DANban o Danske Bank Growth) si sono riuniti per definire gli obiettivi del The Diversity Committment, con l’obiettivo di privilegiare gli investimenti su startup miste (non solo formate da uomini): fino ad allora, il 95% del capitale infatti era investito in startup di soli uomini e le donne erano poco rappresentate nell’imprenditoria (1%, 3 su 4 imprenditori sono uomini).

Sara Lodi, Head di Interacta Business Development

Sono molti gli studi internazionali che dimostrano che chi investe tende a finanziare il progetto con il founder che più gli somiglia (il prof M. Schultz parla di Hewey, Dewey and Louie effect cioè di finanziare persone che ragionano come te) e questo manca tutta una serie di obiettivi: di mercato, oltre che di pari opportunità (1 investimento su 100 andava alle donne). Puntare al 50-50 sembrava irrealistico per i danesi dato che si partiva da un 95% di investimenti in startup solo maschili, quindi il conto è stato 95%-15%: 80% il tetto massimo di investimenti su startup di soli uomini (la buona notizia è che l’obiettivo è stato raggiunto).

Francesca Moriani, CEO di Var Group

Uno studio (Justesen, 2011) mostra che troppa omogeneità in un team impatta le performance: il tetto massimo di omogeneità è settato al 70%, soglia oltre la quale l’impatto è negativo su decision making, problem solving, arrivare alle deadline, performance finanziarie, mantenere il budget.

In tre anni, a partire dal 1 maggio 2021 ci si aspettano:

  • Massimo dell’80% di società tutte al maschile che ottengono finanziamenti
  • Massimo del 70% di omogeneità di genere fra i manager delle startup finanziate
  • 66% massimo di omogeneità di genere nelle intere startup
  • 66% massimo fra il team delle startup che curano gli investimenti
  • 75% di omogeneità nei gruppi partner
Consulente per la Diversity, Equity & Inclusion | Consigliera di Fiducia per Rai, Sapienza e Greenpeace

Ovviamente, occorre creare piani interni per raggiungere queste cifre, ridisegnare il lavoro pensandolo in termini di diversità, promuovere dei modelli diversi all’interno della propria azienda e dell’ecosistema delle startup, cercare speaker e/o rappresentanti dell’azienda di genere non omogeneo.

Ad esempio, Innovation Fund Denmark, prima di aver firmato l’accordo, già assumeva tenendo conto dell’ottica di genere e faceva corsi per scoperchiare i bias inconsci di genere nei dipendenti e manager. Adesso ha strutturato proprio una policy apposita interna.

Secondo Rolf Kjaergaard, CEO della Veakstfonden, i team non omogenei hanno maggiori ritorni di investimento, sono più innovativi e prendono le decisioni migliori. Il Diversity Committment mira a far cambiare l’intero ecosistema delle startup – finanziando i progetti misti: trattare uomini e donne alla stessa maniera vuol dire smetterla di dire agli uni vinci e alle altre cerca di non perdere.

Il fatto che gli obiettivi si siano raggiunti il primo anno fa ben sperare: nessuno ha raggiunto tutti i goal, ma tutti ne hanno raggiunti alcuni. Soprattutto, molti altri investitori e imprese si stanno aggiungendo a questo accordo.

Doriana De Benedictis, Diversity, Equity & Inclusion leader – Ernst&Young

Ma cosa si intende per ottica di genere?

Oggi la questione non riguarda più solamente il rapporto maschi-femmine, ossia in termini binari, ma la diversity, ossia una cultura inclusiva complessiva che riguarda preferenze sessuali, provenienza, genere, generazione, stato socio-economico, abilità fisiche, religione, politica ecc: le prospettive differenti nel comprendere una questione, offrono soluzioni differenti per quella stessa, ovvio. Ma poichè, quando si tratta di innovazione, è importante avere molte voci, ecco che better balance, better business.

L’ottica binaria, in ogni caso, ha fatto da apripista in termini di individuazione di bias che generano obiettivi mancati: senza quel 50% di chi può capire come ragiona in termini di marketing il target femminile, questo è percepito e viene trattato (erroneamente) come nicchia: se è vero che le startup servono a risolvere problemi, probabilmente ci sono problemi ai quali gli uomini non sono esposti.

Questi problemi vengono sminuiti, oppure l’investitore non ha quella competenza e non può aiutare l’imprenditrice. Il risultato è, dicevamo, un goal perso. E sapete perchè? Uno studio del Boston Consulting Group ha notato sia che le donne sono meno finanziate degli uomini ma anche che le startup con fondatrici donne performano meglio con un 10% in più su 5 anniquindi in realtà investirci conviene. Le startup con donne co-fondatrici fanno di più con meno. Donna co-fondatrice= migliori risultati.

Carola Salvato, CEO Havas Life Italia

Dunque, le startup co-fondate con donne performano di più:

  • Decision making (più il gruppo è omogeneo più si pensa alla stessa maniera e non va bene)
  • Innovazione e creatività (prospettive diverse, idee diverse)
  • Conoscenza dei target (uno studio del 2009 dice che le donne prendono il 65-92% delle decisioni sulle cose da comprare)
  • Migliore ambiente di lavoro

Ovviamente c’è la questione pregiudizio. Sempre secondo i due rapporti citati, i bias da superare sono:

  • Fare l’imprenditore vuol dire sacrificare il bilanciamento vita-lavoro
  • Le donne non sanno fare gli imprenditori come gli uomini (al primo posto nel 2019 alla domanda di Dansk Ehrvev a un gruppo di donne “Perché non pensi di iniziare un’impresa nei prossimi 3 anni?” la prima risposa è stata “Non credo di essere in grado”) – mancanza di fiducia non vuol dire mancanza di competenza
  • Non si può fare figli e mandare avanti bene un’azienda.

Infine, il gap di genere:

  • Le donne delle startup sono pagate meno degli uomini (a partire dal bonus per seniority)
  • Il networking nelle startup favorisce gli uomini (1/3 dei danesi trova lavoro tramite il networking vs ¼ delle danesi)
  • Ci vogliono più modelli di donne imprenditrici per rompere lo status quo (soprattutto nelle materie STEM e ITC)
Tiziana Mele, CEO Lundbeck Italia

Anche in Italia, iniziano a nascere agenzie che si occupano di fare consulenza sugli aspetti di apertura alla diversità ed inclusività, tra cui ReWorld, che offre anche un percorso per acquisire la prima certificazione etica multiparametro del nostro paese, in collaborazione con Sapienza Università di Roma, DIAG.

Darei un occhio anche a Work Equality Cert e a Hella, per la comunicazione inclusiva. Per una comunicazione non ostile, direi di farsi un giro su Parole ostili, mentre sulla diversity, ovviamente Diversity Lab, fondata da Francesca Vecchioni, membro del nostro Comitato Scientifico.

Come imprenditrice e founder della startup ReWorld, donna e omogenitrice, vorrei consigliare due comportamenti in azienda: usare un linguaggio gender-sensitive e focalizzarsi su quel che la persona porta invece che su quel che richiediamo. Inoltre, lancio una provocazione: occhio a non contare troppo sul proprio network per trovare collaboratori, investitori, sponsor: spesso è monotalento.

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