Da più di un secolo si susseguono studi sulla complessità del cervello umano e sulle sue varie cellule.
Una discussione scientifica ancora attiva è quella sulla neurogenesi, sulla capacità di alcune zone cerebrali di generare nuove cellule in età adulta. Santiago Ramón Cajal, uno dei padri delle moderne neuroscienze, nei suoi studi del 1928 scrisse: “Da adulti i centri nervosi sono sostanzialmente fissi, finiti e immutabili”.

I ricercatori hanno aderito per anni a questa tesi, cercando solo conferme sul fatto che la formazione di nuove cellule nervose avvenga dallo stato embrionale fino all’adolescenza.

Negli anni Ottanta diversi ricercatori hanno messo in dubbio le certezze dei colleghi di inizio Novecento. Studiando esemplari adulti di animali appartenenti a varie specie, i ricercatori si accorsero che la neurogenesi avveniva eccome, trovando indizi su processi simili nel cervello degli umani adulti. Diverse ricerche sono arrivate alla conclusione che in aree del cervello come l’ippocampo – la parte deputata all’apprendimento e alla memoria – si producano centinaia di nuove cellule ogni giorno.

In uno studio del 2018 di Alvarez-Buylla e dei suoi colleghi dell’Università della California si contraddice nuovamente l’esistenza della neurogenesi: su Nature scrivono di non avere trovato alcuna traccia di nuovi neuroni nelle decine di campioni analizzati, provenienti anche da adulti umani.

Ma da quali cellule è formato il cervello? Oltre ai neuroni che rappresentano solo il 20% della componente cellulare totale, il sistema nervoso è formato da una seconda tipologia cellulare che copre il restante 80%, chiamata neuroglia o cellule gliali. Descritte per la prima volta dal fisiologo tedesco Rudolf Virchow nel 1860, esse svolgono moltissime attività ausiliarie al funzionamento e alla sopravvivenza dei neuroni, offrendo loro soprattutto un supporto meccanico e nutritivo ed esercitando un controllo metabolico. 

La ricerca degli ultimi anni ha suggerito che all’invecchiamento cerebrale e quindi alla neurodegenerazione contribuisce in parte una cascata di processi chiamata neuroinfiammazione. Recenti osservazioni indicano che le terapie destinate alle cellule gliali potrebbero fornire vantaggi per coloro affetti da disturbi neurodegenerativi. Alla stessa neuroinfiammazione delle cellule gliari sembra dovuta la fibriomialgia.

E sono proprio le cellule gliari che ultimamente sono state definite Zombi in quanto capaci di accrescersi notevolmente anche dopo la morte. È convinzione generale che con l’arresto cardiaco si arrestino le funzioni vitali.

Studi sul cervello del NeuroRepository (UINR), Università dell’Illinois Chicago, hanno evidenziato che nelle cellule gliari post mortem l’80% dei geni rimangono stabili per 24 ore ovvero la loro espressione non cambia quindi sopravvive alla morte clinica dell’essere umano, anzi alcune cellule crescono ulteriormente.

Jeffrey A. Loeb direttore dell’UINR e i suoi colleghi sono particolarmente avvantaggiati nello studio del tessuto cerebrale, infatti l’istituto in cui lavorano è una banca di tessuti cerebrali umani unica nel suo genere, è un database di ricerca che alimenta lo studio e le cure innovative per i disturbi cerebrali. Si tratta di un approccio big data per collegare dati clinici, radiologici, fisiologici, istologici, molecolari e genomici a migliaia di campioni di tessuto umano. Questi campioni forniscono un apporto importantissimo alla comunità scientifica e hanno già portato a nuove importanti scoperte di biomarcatori e bersagli farmacologici per pazienti con disturbi neurologici e psichiatrici.

L’UINR può definirsi una vera e propria banca di tessuti cerebrali umani ottenuta attraverso pazienti con disturbi neurologici che hanno acconsentito alla raccolta e conservazione dei tessuti per la ricerca dopo la loro morte o durante gli interventi chirurgici standard per il trattamento di disturbi come l’epilessia, in cui tessuto cerebrale epilettico viene rimosso per aiutare a eliminare le convulsioni. Gli esperimenti maggiori sono effettuati su tessuti cerebrali freschi prelevati in corso di interventi chirurgici.

Non tutto il tessuto prelevato è necessario per la diagnosi patologica, una parte può essere utilizzato per la ricerca. Nella loro ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reported, Loeb e colleghi, hanno concentrato la loro attenzione su tre tipi di geni.

Un tipo di geni che fornisce le funzioni cellulari di base alle cellule cerebrali, un altro coinvolto in modo intricato in attività come la memoria (importanti per gli studi su disturbi come l’Alzheimer), il pensiero e l’attività convulsiva, che si degradano rapidamente nelle ore successive alla morte, infine un terzo gruppo, i geni sopranominati zombi, che aumentano la loro attività nello stesso momento in cui gli altri geni neuronali vanno esaurendosi. 

Questi geni zombi – quelli che aumentano l’espressione dopo l’intervallo post mortem – sono specifici per un tipo di cellule caratteristiche dell’infiammazione: le cellule gliali. I ricercatori hanno osservato che queste aumentano la loro attività, come se si accendessero, dopo la morte: crescono e gli spuntano lunghe appendici simili a braccia, e ciò avviene per molte ore, con un picco dopo 12 ore dal decesso. Il compito di questa popolazione di cellule è quello di ripulire i danni indotti nel sistema nervoso stesso.

“La buona notizia – commenta il professor Loeb – è che dalle nostre scoperte ora sappiamo quali geni e tipi di cellule sono stabili, quali si degradano e quali aumentano nel tempo in modo che i risultati degli studi post-mortem sul cervello possano essere compresi meglio”.

Il Neurorepository  collabora con ricercatori di più discipline: neurologia, neurochirurgia, psichiatria, neuroscienze, neuroimaging e neuroscienze computazionali.

 L’Istituto è specializzato nella raccolta di migliaia di campioni di cervello neocorticale di pazienti sottoposti a chirurgia in cui ogni pezzo di tessuto è collegato all’imaging, alle registrazioni elettriche in vivo e a un ampio database clinico.

Gli studi di questa raccolta hanno portato a molteplici importanti scoperte sul cablaggio anormale del cervello epilettico, sui percorsi molecolari coinvolti, su nuovi bersagli terapeutici e sui biomarcatori. Una seconda malattia è la SLA, dove si raccolgono tessuti autoptici post-mortem direttamente collegati alla progressione clinica della malattia.

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