Viviamo in un mondo polare, che si manifesta per opposti, lo yin e lo yang delle filosofie orientali, il codice binario della fisica. Eppure l’essere umano tende profondamente all’unità, ad unire i poli. Lo dimostrano i rapporti di coppia in cui ognuno cerca di sperimentare il suo polo opposto, la sua ombra. Il nostro stesso organo visivo tende a questa unità: se osserviamo un colore per alcuni minuti e poi chiudiamo gli occhi comparirà nel buio il suo complementare che altro non è che la somma degli altri due.

Tutte le pratiche spirituali orientali tendono a far uscire dallo spazio tempo che è proprio del mondo relativo materiale per trasportarci nel trascendente.

Ma in che modo il cervello vive materialità e trascendenza?

Il primo scienziato ad occuparsi di rapporti del cervello umano con la spiritualità è stato un neurologo: James Austin nel 1982 che avviò un’intensa ricerca scientifica per conoscere meglio il cervello ed esplorare le componenti neurologiche della dimensione spirituale dell’uomo. 

I risultati di quell’indagine li raccolse poi in un bellissimo libro, Lo Zen e il cervello, pubblicato nel 1998. Questi studi hanno posto i fondamenti di una nuova scienza, la neurobiologia della spiritualità e della religione, che ha fatto nascere più tardi il Centro per lo studio della scienza e della religione presso la Columbia University di New York. 

Tra i tanti, due neurologi, Andrew Newberg ed Eugene d’Aquili, in Why God won’t away, riferiscono sui loro esperimenti che dimostrano:  

1. come le attività rituali, le meditazioni e le preghiere, correttamente eseguite, attivino nuove zone del cervello.

2. come contestualmente si disattivino le zone preposte all’orientamento spazio-temporale.  

Si è constatato che i soggetti esaminati, indistinti per cultura e fede (monaci tibetani, suore francescane e persone comuni dedite alla meditazione)  entrano in una dimensione nuova, dove l’io non si percepisce più nei limiti dello spazio e del tempo e quindi della polarità, ma dell’Unita e dell’eternità. Si incontra un’altra realtà diversa da quella ordinaria della vita quotidiana, si entra in uno stato di coscienza che fa sentire l’essere come un tutt’uno con il cosmo.

Gli sperimenti sono stati effettuati con la SPECT (dall’inglese Single Photon Emission Computed Tomography) effettuata con un tracciante di contrasto inserito in una vena tramite una cannula precedentemente predisposta. Si rileva così il flusso sanguigno correlato all’attività neuronica cerebrale. Il cervello in tal modo è reso visibile su di un monitor, per mezzo del quale si possono osservare e fotografare tutte le variazioni di aumento di flusso ematico nel territorio cerebrale al momento in attività e, nel caso in esame, la fenomenologia dell’encefalo durante gli stati evolutivi spirituali. 

Ciò che si evidenzia è l’attivazione della corteccia prefrontale, sede dell’attenzione, e un assopimento dei neuroni nel lobo parietale superiore, dove convergono i dati sensori che ci danno la cognizione del confine e della distinzione tra l’io e il resto del mondo, tra il proprio corpo e la realtà che è oltre. 

L’intensa concentrazione meditativa inibisce la trasmissione dei suddetti sensori nel lobo parietale superiore, per cui l’area di orientamento di sinistra in ordine all’appercezione spazio-temporale si scurisce, come se si spegnesse. 

Contemporaneamente si ha l’attivazione di aree cerebrali che fanno percepire l’io come eternamente intrecciato con il tutto, con la conseguente captazione dell’universale. 

Secondo Newberg non si tratta di mere illusioni neurologiche, ma di una nuova esperienza conoscitiva. È interessante constatare che le persone affette da epilessia dei lobi temporali possono sviluppare interessi religiosi o visioni trascendenti a confermare l’antico nome attribuito a questa patologia di morbo sacro.

Stati simili a livello cerebrale possono essere stimolati da mantra, preghiere, comportamenti rituali che attivano tra l’altro il cervello rettiliano.  

Secondo gli esperimenti di Newberg il nostro cervello ha una struttura preordinata per la conoscenza di Dio e per penetrare il Mondo dello Spirito; il cervello possiede quindi una precipua facoltà deputata a trascendere il tempo e lo spazio e a immettere l’io nella dimensione dell’infinito, dove il soggetto avverte sensazioni che interpreta come prove dell’esistenza di Dio.  

Non è un caso infatti che il noto affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina, raffigurante la creazione di Adamo, con Dio nell’atto in cui passa la parola (il logos) all’uomo (dotandolo così di spiritualità, intelligenza, capacità di conoscenza e autocoscienza) abbia sullo sfondo un drappeggio che rappresenta la silhouette di un cervello. Non dimentichiamo che Michelangelo frequentò la scuola iniziatica neoplatonica nella corte fiorentina dei Medici e quindi è probabile che attraverso l’affresco volesse trasmettere un significato simbolico di Dio e del cervello umano.

Da quanto fin qui detto si comprende che le aree associative di orientamento contenute nel lobo parietale, per la loro iperattività e per le loro connessioni con due strutture cerebrali, l’amigdala e l’ippocampo, sono responsabili di due processi altamente illusori in cui siamo quotidianamente immersi: la divisione tra soggetto e oggetto e il concetto di spazio/tempo. 

La divisione tra soggetto e oggetto avviene in maniera automatica per la necessità di porre un confine alla propria identità o personalità. La divisione tra soggetto e oggetto è importante per la vita nel corpo in quanto ci permette di eseguire azioni elementari come mangiare un gelato o guidare una macchina, ma se vi è iperattività di questi centri automaticamente la separazione non viene percepita solo a livello di realtà fisica degli oggetti, ma ci si sente separati dalla fonte. Questa iperattività può condurre a malattie fisiche perché si è persa la connessione con l’energia primaria.
Un ulteriore confine illusorio attivato dai lobi parietali è quello dello spazio/tempo creato dalla coscienza per far sembrare reale il vissuto; le cose infatti, per accedere alla percezione, hanno bisogno di essere viste attraverso una forma (spazio) e una persistenza nel tempo. Spazio e oggetti costituiscono quindi un concetto unitario, in quanto gli oggetti non esisterebbero se non fossero delimitati da uno spazio. Lo stesso corpo fisico non ci sarebbe senza il concetto di spazio. Altrettanto può dirsi del tempo: senza l’esistenza degli oggetti e del loro perdurare nella percezione, il tempo non avrebbe significato.

La conclusione è che spazio/tempo/oggetti sono una sola cosa. Il bambino fino a tre anni non ha nessuna cognizione del tempo lineare, conosce solo il tempo momentaneo, che è il tempo reale: l’adesso. Solo successivamente verrà catturato dall’illusione e dal mondo del sogno ed emergeranno i concetti di tempo e di spazio per l’attivazione delle aree associative dell’orientamento del lobo parietale.

Il perfezionamento del sogno è nel convincersi che spazio e oggetti siano fuori dai nostri confini. Nasce il mondo delle apparenze. Il coinvolgimento in questo mondo illusorio è tale che passiamo la vita a difendere i nostri confini e a relazionarci orizzontalmente con gli oggetti creati dalla nostra percezione. La conclusione è che viviamo fondamentalmente in un sogno, o più esattamente in una bolla di percezione, separati da tutto. Il senso dell’ego, che il cervello crea costantemente come reazione a tutto ciò che è percepito come altro distinto dal se stessi è dotato così di un senso di assoluta, distinta separazione da ogni altra cosa.

per approfondire: Il Diksha di Sri Bhagavan Un viaggio verso il risveglio e la consapevolezza di Osvaldo Sponzilli ed Enza Carifi

God and the Brain di Clark Kelly James

Cervello umano e religione. Le neuroscienze di fronte a Dio e alla teologia di Roberto Gallinaro
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