E’ ora on line il video della tavola rotonda che ha inaugurato le quattro panchine rosse d’artista acquistate dal Dipartimento di Ingegneria Informatica, automatica e gestionale della Sapienza (DIAG) come segno concreto nella lotta alla violenza contro le donne.

Presentate ufficialmente l’8 marzo con un evento-dibattito, le panchine sono state acquistate in una vendita all’asta il cui ricavato, come ha spiegato Alessia D’Innocenzo, responsabile Prevenzione dell’associazione Differenza Donna, viene devoluto a sostegno di alcuni progetti dell’associazione per sostenere i minori ospiti delle case rifugio e dei centri antiviolenza, spesso orfani di femminicidio, vittime di traumi e di stigma sociale, per i quali sono necessari percorsi individualizzati di assistenza.  

Basterebbe questo a dare la misura di questa splendida iniziativa, volta a sensibilizzare gli studenti dell’Università Sapienza sull’importanza del tema. Un’iniziativa che tra l’altro nasce in un dipartimento a forte presenza maschile, il Diag, grazie al professor Andrea Vitaletti che ha coordinato la raccolta insieme alla Prof.ssa Laura Palagi.

Le panchine rosse: il focus
della tavola rotonda

Paola Minissale per la sua panchina ha scelto di rappresentare una geisha, come simbolo di una perfezione che non garantisce apprezzamento e sicurezza. La geisha è dipinta con le quattro dita alzate, segnale di aiuto, ed emerge al di sopra di una nuvola nera.

Alessia Lifemeup ha scelto invece di rappresentare donne diverse, a simboleggiare la presenza in ogni contesto della violenza e che anche le donne forti possono essere vittime di violenza; a rappresentare l’uomo violento, nella sua panchina c’è una piccola mosca.

Le altre due panchine si intitolano Solo perché donne di Giovanna Alfeo,  e Double Face di Chiara Abbaticchio.

Le panchine rosse sono state ideate e realizzate presso Wire Coworking, uno spazio di lavoro condiviso che diventa una palestra per la mente, come ama spiegare la Communication manager di Wire Sara Mechelli. Situato presso gli ex Mulini Biondi di Roma Ostiense, è un luogo dove trovarsi ed essere ispirati: dall’ambiente, dall’atmosfera, dagli altri.

Ma l’iniziativa dell’Università Sapienza si è poi arricchita, in occasione dell’inaugurazione, di un brillante confronto tra menti (istituzioni, università, società civile) intorno al problema delle differenze di genere che durante la pandemia si è acutizzato, come dimostra uno studio pubblicato sulla rivista medica Lancet. Il Covid ha amplificato i problemi esistenti, con il rischio che si torni indietro sulle conquiste ottenute dopo anni di sforzi.

Parlare di violenza di genere è importante oggi anche considerando la nuova guerra che ha colpito l’Ucraina. Da sempre sono le donne a pagare il prezzo più alto della guerra tra i civili; così come da sempre sono gli uomini a iniziare e condurre le guerre (non è diversa quest’ultima, basti guardare i team di negoziatori messi in campo da Russia e Ucraina).

Le radici della violenza sono da individuare nel perdurare di stereotipi e pregiudizi antichi, nella mancanza di cultura e di sensibilizzazione, nella sottovalutazione dell’impatto di modelli sociali e di comunicazione che ancora relegano le donne in ruoli ancillari o le sessualizzano.

Secondo la Direttrice Generale della Sapienza Simona Ranalli è fondamentale la prevenzione continua dei reati contro le donne, e l’impegno della Sapienza su queste tematiche è rappresentato dal Gender Equality Plan, dal recente accordo con la Regione Lazio per la creazione di uno sportello antiviolenza e dal campus di formazione #Obiettivo 5. Parità di genere, che ha visto la sua prima edizione tra il 10 e il 12 marzo.

L’importanza delle parole

Nel passaggio dal delitto d’onore, abrogato solo nel 1981, al femminicidio, termine attestato come neologismo da Treccani nel 2008, si traccia, secondo la professoressa Laura Palagi del Diag, un vuoto che non è stato solo normativo, ma anche linguistico e culturale. Dall’essere un’azione legittimata con il delitto d’onore, la violenza sulla donna ha vissuto una lunga fase di occultamento linguistico.

E sull’utilizzo del linguaggio si è basato l’esperimento del Prof. Roberto Navigli, che ha mostrato i risultati ottenuti attraverso l’utilizzo di GPT-3, un autoregressive language model, ovvero un modello che, dato un contesto di parole (p.e. una frase) è in grado di predire la parola seguente.

In questo esperimento è stata inserita la seguente frase di partenza: “at the Sapienza University of Rome, four red artist benches against violence against women”. Partendo da questa frase l’intelligenza artificiale fa la sua ricerca tra i testi trovati in rete, e dai risultati si capisce quali siano le falle del linguaggio e i pregiudizi che continuano a gravare sulla lotta contro la violenza.

Una delle frasi trovate, ad esempio, sottolinea l’importanza delle panchine a simboleggiare la protezione verso le donne, un’idea ancora molto radicata e che non tiene conto del fatto che le donne non vanno protette, ma rispettate: in presenza di rispetto non serve alcuna protezione.

Ma uno dei risultati più scioccanti ottenuti durante l’esperimento è stata la frase “Rape is not a crime” (lo stupro non è un crimine), che non va considerata come un malfunzionamento della macchina ma come un malfunzionamento del linguaggio espresso dalla società e un esempio di quanto un utilizzo scorretto del linguaggio possa creare danni.

La tavola rotonda @TacchiRossi: quando la violenza non viene riconosciuta

Con l’inaugurazione delle panchine si è svolta anche la tavola rotonda @Tacchi Rossi, moderata da Cristina Cerrato, avvocata di Differenza Donna.

Qui sono le parole della giudice Paola Di Nicola a farsi sentire, ricordando che circa 1/3 delle donne ha subito violenza e che spesso gli uomini non sanno di commettere violenza e le donne non si rendono conto di essere vittime. In quest’ottica ci si rende conto, ad esempio, di come lo stupro sia un reato che spesso non viene punito perché non viene riconosciuto.

Le donne sono vittime ogni giorno per il semplice fatto di avere la certezza di poterlo diventare da un momento all’altro. Di Nicola sottolinea che gli stereotipi di genere, sebbene spesso possano sembrare innocui, sono in realtà la vera causa prima delle violenze.

Anche nell’aula di giustizia si è assistito in passato al fenomeno della discriminazione di genere: partendo dal presupposto che il diritto non è neutro, perché il giudice interpreta, alle donne fu vietato di ricoprire questo ruolo, perché considerate soggette ai diversi umori frutto del ciclo mestruale. Questo provvedimento, ci ha ricordato la giudice, non risale a società arcaiche, ma fu adottato in sede di Assemblea costituente.

La giornalista e scrittrice Eugenia Romanelli rimarca la necessità di lavorare sull’immaginazione, sugli aspetti culturali e sull’organizzazione del pensiero e fa notare come spesso le donne stesse siano artefici dei pregiudizi, in particolare nei settori a maggioranza maschile, come quello imprenditoriale. Per Romanelli bisogna lavorare sul rapporto tra le donne e sulle modalità di rispondere al maschilismo con un’attitudine che non sia necessariamente di scontro.

Liliana Ocmin, Responsabile nazionale del Coordinamento Donne CISL sottolinea la componente spaziale, ossia come i contesti di provenienza delle donne determinino un maggiore o un minore pericolo: si pensi ai casi di guerra o di paesi che non tutelano i diritti delle donne. Altro elemento è la violenza nei luoghi di lavoro, che spesso viene ancora sottaciuta. In tutti i casi di violenza, sia domestica che sul lavoro, è importante l’autonomia economica, che permetta alle donne di allontanarsi dalle situazioni nocive.

La pedagogista Orietta Ciammetti parla dell’esperienza dell’Associazione La mia famiglia, che gestisce luoghi per le donne vittime di violenza e per i loro figli. Ancora una volta l’attenzione torna su bambini e bambine che, per aver assistito alla violenza, sono essi stessi vittime di violenza.

La Prof.ssa Giuliana Scognamiglio, Delegata alle Politiche per le Pari Opportunità di Sapienza, mette l’accento sull’importanza di scardinare i pregiudizi di genere ed evidenzia la necessità della ricerca a livello universitario sui pregiudizi di genere, che si instaurano fin dalle elementari.

Michela Cicculli, Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Roma, dal suo punto d’osservazione politico, sostiene che la violenza di genere è una mancanza di democrazia, una privazione dei diritti della cittadinanza.

La professoressa Giovanna Gianturco, docente di sociologia e direttrice del corso di Formazione Culture contro la violenza di genere della Sapienza, mette in rilievo l’importanza, dal punto di vista sociologico, dei simboli della lotta contro la violenza, dalle scarpe rosse di Elina Chauvet a Ciudad Jerez fino alle panchine rosse. Questi simboli indicano l’aver riconosciuto il fenomeno, il volerlo risolvere e voler ricercare le cause.

La cultura è centrale per interpretare il fenomeno e intervenire. I significati veicolati culturalmente devono amplificarsi. Le panchine rosse sono uno di questi veicoli di significato, simboleggiano il posto vuoto lasciato da una donna vittima di violenza.

La prima panchina rossa di Karim Cherif

La prima panchina rossa risale al 2014, a opera dell’artista Karim Cherif. Su quella panchina rossa c’erano due grandi occhi rossi di donna, che ci ricordano quelli delle figure femminili delle panchine del DIAG. Negli anni questo simbolo materiale della lotta contro violenza di genere si è diffuso in ogni parte del mondo, dall’Australia all’America Latina, tanto che nel 2019 la #panchinarossa è diventata un marchio registrato dagli Stati Generali delle Donne.

Le panchine rosse sono un piccolo simbolo in grado di scatenare intorno a sé una serie di ragionamenti e riflessioni capaci di abbracciare questioni complesse e di farsi promotori di un miglioramento della nostra società.

[Ha collaborato Daniel Raffini]

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