Per millenni la comunità LGBTIQ+ è stata a capo scoperto sotto la pioggia infuocata del pregiudizio: le bibliche Sodoma e Gomorra, con la loro furia di lapilli descritta in letteratura da Dante a Proust (di cui ricorre proprio quest’anno il centenario della morte), hanno tristemente rappresentato la punizione sociale e divina fino almeno all’illuminismo.

E se nell’Ottocento il cappello di studi pseudo-scientifici confezionò sartorialmente quello che Michel Foucault definì la specie dell’omosessuale, nel Novecento è ben dolente il ricordo degli elettroshock subiti dai soggetti lgbtiq, quel cappello di elettrodi di cui, ben 50 anni dopo, ci si scusa in modo troppo tardivo.

Oltre 50 anni sono passati da quando il F.H.A.R., il Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire, pubblicò nel 1971 il Rapporto contro la normalità, un testo rivoluzionario tradotto in Italia l’anno dopo da Guaraldi Editore, mentre solo alla fine del secolo Eve Kosowsky Sedgwick nel suo Stanze Private liberò il soggetto omosessuale dalla condanna capitale (metaforica e non) della sessualità non normata.

Nel Month Pride il ricordo delle oppressioni, delle violenze, delle condanne e soprattutto della sistematica cancellazione dei diritti e delle affettività eccedenti va di pari passo con quell’alzare la testa che rappresenta la forma più mimetica dell’orgoglio stesso.

Potremmo dunque affermare che l’ombrello delle pari opportunità sociali, o, se vogliamo, il cappello dei diritti, più è ampio più tutela tutti i soggetti.

Da questa prospettiva appare ancora più interessante la campagna ideata dal project fashion director Manos Samartzis per la capsule collection di Borsalino: cappelli rainbow quasi a significare un rovesciamento dei capi scoperti dei secoli passati, bruciati sotto la pioggia del pregiudizio: una protezione dei diritti di ciascunə.

Borsalino Pride Capsule 2022 by Manos Sanmartzis

Per altro nella retorica tradizionale il cappello è termine volto a produrre una introduzione ad un argomento e non vi è dubbio che mai come adesso la simbologia della inclusione introduca una più ampia applicabilità della prassi sociale.

Del resto l’oggetto-simbolo è sempre più transazionale e il fatto che una grande marca dia il proprio contributo alla visibilizzazione dei diritti pare degno di rilievo.

Per comprendere tutta la strada percorsa basti pensare che, quando la Borsalino fu fondata nel 1857, Auguste Ambroise Tardieu pubblicava il suo Etude medico-legale sur les attentats aux moeurs dove la sodomia (sic!) era legata al disturbo mentale, patologia che fu cancellata solo negli anni ’90 del secolo XX.

Da allora per la comunità LGBTIQ+ le persecuzioni, incluse quelle del lager, si sono susseguite senza sosta fino alla rivoluzione di Stonewall mentre il Borsalino diveniva testimone di seduzione, filmografia e cinematografia eterosessuale e normativamente eterosessista.

In questo senso l’operazione Borsalino rinforza non solo Her Powermənt dei soggetti tutti, quella possibilità di essere rappresentati attraverso la simbolizzazione e la sovversione delle aspettative socio culturali, ma va simbolicamente a coprire il capo dalle persecuzioni, e dal più dorato sole dei Pride, oramai aperti a tutti coloro che credono nelle possibilità ampie dell’amare.

Certo, viene da ricordare qui due donne, Marlene Dietrich e Greta Garbo, che – modelli di emancipazione – vissero con seria difficoltà la bisessualità l’una e il lesbismo l’altra mentre indossavano proprio i loro Borsalino.

Chissà cosa avrebbe detto Mercedes de Acosta, che fu l’amante di entrambe le donne e che aveva meno timore di loro di rivelare il proprio orientamento, se avesse visto su quel cappello il simbolo della possibilità stessa di essere: l’arcobaleno rainbow per il mese del Pride.

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