“Le persone che vogliono la guerra sono povere creature infelici. Sono nate con una malattia congenita: un buio nel cuore. Spero che qualcosa avvenga di magico o miracoloso”. Peppe Barra (da Propaganda Live del 11/03/2022).

Nella mitologia della Grecia antica, quando si faceva riferimento alla guerra, si era soliti distinguere due divinità: Atena e Ares. Verrebbe da chiedersi perché due divinità, ma per i Greci la risposta era semplice. Atena, figlia prediletta di Zeus, nata già adulta e armata dalla sua testa, era la dea della saggezza e della guerra, ma di quella guerra considerata giusta.

Ella consigliava gli eroi e i giudici e proteggeva i fanciulli. Ares, anch’egli figlio di Zeus, era, invece sanguinario e vendicatore. Da lui bisognava sempre diffidare. Era il dio che si faceva le vesti con la pelle degli uomini e scatenava guerre solo per la sua sete di sangue.

Per Freud le guerre erano scatenate dal conflitto esistente in ogni uomo tra l’istinto di vita e l’istinto di morte e l’unico modo per risolvere era far prevalere quella che noi definiamo empatia.

Oggi i miti antichi sembrano lontanissimi da noi e anche Freud sembra, per alcuni versi, superato, eppure ci ritroviamo ancora a parlare di guerre, eroi e antieroi, ma sul campo di battaglia non troviamo più Achille, Ettore, Ulisse.

Troviamo ragazzi di 18 anni che muoiono e non sanno nemmeno perché. Troviamo migliaia di persone che si sono ritrovate senza casa, senza presente. Per i giovani di oggi la guerra è solo qualcosa che fino a poche settimane fa avevano studiato nei libri di storia, ma oggi la guerra è alle nostre porte. La vediamo in televisione, la leggiamo sui giornali, è su tutti i social e non riguarda solo divinità che si scontrano tra loro per la propria gloria.

Però, accanto ai video online, agli elevatissimi costi di vite umane e alla distruzione di case, ospedali e palazzi c’è anche un altro costo altrettanto elevato e che, troppo spesso, passa in secondo piano: è il costo legato alle ricadute psicologiche della guerra.

All’interno di questo listino prezzi si possono individuare tre grandi voci: le popolazioni direttamente interessate, gli osservatori esterni, il personale medico e socio-sanitario.

Approfondendo questo aspetto, si può notare come, in tutti e tre i casi, il benessere e la salute mentali ne risultano fortemente compromessi, con ricadute che possono avere conseguenze a breve, medio e lungo termine.

Per quanto riguarda le migliaia di persone direttamente interessate un primo dato inquietante riguarda l’aumento del mutismo selettivo. Un tempo inquadrato come disturbo dell’infanzia e dell’adolescenza è oggi, all’interno del DSM-5, considerato appartenente ai disturbi d’ansia.

La sua incidenza è sempre stata piuttosto bassa, ma nei bambini arrivati al confine per scappare dagli orrori dei combattimenti non ci sono solo occhioni pieni di lacrime, ma anche difficoltà ad esprimere a parole ciò che, da un giorno all’altro, si sono trovati da affrontare. E d’altra parte come si fa a raccontare che nei giardini in cui prima si giocava a pallone oggi cadono le bombe?!

Accanto a ciò si possono, poi, ritrovare anche altri disturbi che vanno dai disturbi dell’attenzione/concentrazione alle amnesie, dal disturbo post traumatico da stress agli stati depressivi, dalle depersonalizzazioni ai disturbi dell’alimentazione.

C’è poi chi la guerra non la vive da diretto interessato, ma da spettatore e non per questo ne è meno influenzato. Quanti noi non fanno altro che cercare le ultime notizie? Quanti non sono preoccupati dell’evenienza di un conflitto atomico (tra l’altro proprio pochi giorni fa l’Italia ha aggiornato le linee guida su cosa fare in questo caso)?

E quanti non si domandano se tocca fare scorte di cibo e acqua? Ecco, quindi, che tutti ci sentiamo non solo più preoccupati, ma proprio più ansiosi e mettiamo in atto schemi simil ossessivo-compulsivi nel tentativo di controllare ciò che direttamente controllabile non è.

Ci sono, infine, medici, psicologi, infermieri e personale sanitario già provati da due anni di pandemia che, nonostante tutto, stringono i denti per supportare chi sicuramente ha più bisogno di loro, ma con un rischio burnout ogni giorno più elevato.

Tutto ciò dovrebbe farci capire quanto le conseguenze di eventi che sembrano lontanissimi da noi in realtà le paghiamo tutti perché la salute mentale non decade con l’esplosione di una bomba né con l’invasione dei carri armati.

La salute mentale è un diritto sempre e lo è ancor più in quelle situazioni in cui le conseguenze possono farsi sentire per molti anni avvenire. Ecco perché, se le guerre portano via il presente, non si può lasciare che portino via anche la speranza futura di poter ricostruire non solo case, strade, palazzi, ma anche il benessere mentale indispensabile all’integrazione del nostro Io, perché anche se “i tedeschi mi fecero cadere il cielo addosso, ho vissuto tante vite per guarire dall’orrore” (Lorenza Mezzetti- Il cielo cade).

Ecco allora che la lettura di questo libro ci può portare a capire quali possono essere le ricadute psicologiche della guerra sul nostro equilibrio mentale. E’ infatti dalla storia delle due piccole protagoniste, ambientata durante la Seconda Guerra mondiale, che si comprende il contrasto esistente tra il terrore provato dalle due bimbe di fronte agli orrori della guerra, e la spensieratezza della loro età, che diventa forza di ricostruzione.

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