Al Teatro Carcano di Milano dal 14 al 19 febbraio 2023 in scena Supplici di Euripide diretto da Serena Sinigaglia, spettacolo vincitore del Premio della Critica 2022 dall’Associazione nazionale dei Critici di Teatro (ANCT).

Tradotto da Maddalena Giovannelli e Nicola Fogazzi e adattato da Gabriele ScottiSupplici racconta dell’intenso viaggio compiuto da sette madri, sette attrici straordinarie: Arianna Scommegna, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Francesca Ciocchetti, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan, Debora Zuin

Tutti i giorni da martedì 14 a domenica 19 febbraio nel foyer del Teatro Carcano sarà possibile godere di una piccola esposizione a cura di Maria Spazzi, scenografa e fondatrice ATIR, in collaborazione con la fotografa Serena Serrani.

Faranno parte di questa piccola collezione dipinti e foto di scena che rimandano allo spettacolo e ai temi che si intrecciano nella tragedia euripidea. Ne parliamo con Maria Spazzi che così introduce nel comunicato stampa il suo lavoro:

Nell’immaginare la scena per ‘Supplici’ mi domandavo quale fosse il materiale di questa tragedia. E mi pareva che non fosse un materiale solo, ma un conflitto di materie. La prima è una sostanza nera e vischiosa che si estende sulla pagina bianca. La pagina bianca è la terra. Ma la terra è arida e secca. Le radici sono secche. Manca acqua. Il rito mancato. L’aspersione non fatta. Resta il fuoco. Nell’aria”. 

L’esposizione del lavoro di Maria Spazzi a ingresso e a margine de ‘Le supplici’: una iniziativa inedita o reiterata accanto a Serena Sinigaglia? 
Lavoro con Serena Sinigaglia da quasi trent’anni come scenografa. Questa è la prima volta che propongo un’esposizione legata allo spettacolo. Ma c’è uno strano precedente, ora che mi ci fai pensare. Era il nostro primissimo lavoro insieme e credo il primo lavoro in assoluto, o quasi, per entrambe. Mi trovavo dunque, fresca di accademia, alle prese con la progettazione di una scenografia vera e propria. La compagnia teatrale era già quasi ATIR, la compagnia storica con cui lavoro da sempre, o lo sarebbe stata di lì a pochissimo. Ma quel primo spettacolo fu durissimo, non riuscivo proprio a capire, non c’era verso, ogni progetto scenografico che proponevo per quel primo spettacolo alla fine non funzionava. Provavo ad applicare quello che avevo studiato ma, niente, il lavoro vivo e mutevole degli attori e della regia alle prove mandava a monte tutti i miei piani, si scrollava di dosso le strutture che proponevo. Era come costruire un castello di sabbia sul bagnasciuga. Perciò desistetti, affranta dal fallimento. Serena tuttavia mi chiese se volevo proporre una mostra di opere di mia creazione, quadri, sculture, oggetti che fosse inerente allo spettacolo da esporre nel foyer. Alla fine quei pochi oggetti, evidentemente intrisi del senso dello spettacolo, andarono a costituirne la scenografia. Erano adatti ad essere utilizzati dai personaggi. I personaggi, gli attori, avevano creato quegli oggetti attraverso di me. Quello che accadde fu una creazione collettiva. In teatro non c’è altro modo. Perciò la mostra non ci fu. Ma se sono diventata scenografa è stato grazie ad una mostra mancata. Questa mostra dunque è proprio la prima di questo genere.

A quali criteri si è ispirata l’idea di scena di Maria Spazzi?
Serena mi ha chiesto un luogo che fosse trasversale alle epoche storiche e che reggesse la tragedia che scorre in “Supplici”, che scorre ancora oggi. Ci voleva uno spazio forte, sacro e offeso. In “Supplici” si inscena un tradimento profondo, ambiguo, nascosto, un tradimento ad opera del potere. Con Serena volevamo mostrare l’effetto ultimo, manifesto, di questi abusi. Un brandello di terra inaridito da un tempo troppo lungo. Un reperto. Poi mi son lasciata guidare dalle materie. La vicenda si apre con un rito mancato. Etra, l’officiante, la madre del re, interrompe il rito, non asperge la terra. Non versa l’acqua. L’acqua è assente. Il dolore delle supplici non è gestito attraverso quel rito ma lo interrompe e finisce per generare altro dolore.

Cosa definiresti come protagonista di questo immaginario specifico?
L’assenza dell’acqua è protagonista. Qui l’acqua dialoga con le altre materie sottraendosi. Per dar forma alla scena si trattava di ascoltare le conseguenze di questa mancanza.

Come si è articolata la collaborazione con le foto di Serena Serrani? 
Serena Serrani lavora con ATIR da almeno vent’anni, il suo operato è parte integrante della storia dei nostri spettacoli. Abbiamo esposto le sue fotografie in svariate occasioni. In questa occasione volevo mettere in relazione lo spettacolo visto dai suoi occhi con alcuni miei cenni pittorici che tentavano di pre-vederlo. Credo che un testo, come uno spettacolo, come ogni gesto creativo, sia un’onda che genera altre onde sempre rinnovate e rinnovanti. Mi piaceva mostrarne alcune e osservarne la relazione.

Come vorresti che il tuo lavoro preparasse il pubblico ad assistere alla rappresentazione vera e propria?
Vorrei che predisponesse il pubblico ad essere le prossime onde. Se prima c’era un dipinto astratto emotivo, informato dalla tragedia ‘Supplici’ e poi, con un salto temporale, ci sono le foto di quello spettacolo, e vedo che sono in relazione tra loro, conseguente ma libera, allora io pubblico posso essere parte di questo respiro. Respiro imprevedibile, misterioso ma correlato. In teatro non c’è altro modo. e il pubblico è il teatro.

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