I recenti sviluppi storici, culturali, sociali e pedagogici stanno facendo emergere da una parte una sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, ivi compresa la scuola, e dall’altra una richiesta sempre più pressante, da parte della società civile, di modalità alternative che partono dal diritto all’educazione parentale e si traducono in vari modelli formativi che trovano riferimento nelle idee delle Comunità Educanti delle Scuole libertarie, dell’ outdoor education

In Italia, secondo il Ministero della Pubblica Istruzione, ci sono circa un migliaio di genitori che hanno decretato la fine della scuola e hanno scelto di optare per l’educazione parentale. Per educazione parentale s’intende la possibilità per i genitori, di provvedere, o privatamente o direttamente, all’istruzione dei ragazzi in obbligo scolastico. Utilizzerò l’espressione educazione parentale nella consapevolezza che sono in uso diverse modalità per indicare questo tipo di istruzione: dalla scuola familiare a termini anglosassoni quali homeschooling, unschooling, che hanno significati diversi. Tutte queste espressioni però indicano la scelta della famiglia di provvedere direttamente all’educazione dei figli. Questo può avvenire anche in luoghi diversi dall’abitazione, con persone scelte dalla famiglia e anche in gruppi di ragazzi.

La normativa relativa all’istruzione parentale prevede che: “i genitori o gli esercenti la potestà parentale che intendano provvedere in proprio all’istruzione dei minori soggetti all’obbligo di istruzione”, secondo quanto previsto dall’articolo 111 del decreto legislativo n° 297/94 e C.M. n° 101/2010, devono “rilasciare al dirigente scolastico della scuola del territorio di residenza apposita dichiarazione, da rinnovare anno per anno, di possedere capacità tecnica o economica per provvedervi, rimettendo al dirigente medesimo l’onere di accertarne la fondatezza. Pertanto nell’anagrafe regionale dell’obbligo formativo (AROF), gli studenti che stanno adempiendo al diritto-dovere all’istruzione e alla formazione con un percorso di istruzione parentale sono di competenza dell’Istituto di appartenenza e non vanno segnalati come casi di abbandono scolastico. Se il ragazzo o la ragazza sono iscritti in una scuola e manifestano la volontà di ritirarsi dalle lezioni per seguire l’istruzione parentale, la scuola non dovrà segnalare un abbandono bensì dovrà fare una comunicazione di inserimento in istruzione parentale che mantiene inalterata l’appartenenza dello studente o della studentessa alla scuola e lascia inalterato lo stato del ragazzo o della ragazza in istruzione o formazione e non lo segnala quindi come evasore.

Un recente parere espresso dal Consiglio di Stato stabilisce che l’educazione parentale può essere effettuata fino ai 16 anni con il conseguimento dei saperi e delle competenze relativi ai primi due anni di istruzione secondaria superiore. Quindi nell’ordinamento scolastico italiano è obbligatoria l’istruzione ma non la frequentazione di una scuola, pubblica o privata.

Perché, seppur ancora in una percentuale molto esigua, i genitori decidono di far intraprendere ai loro figli esperienze formative diverse dalla scuola?
Quali sono le ragioni di queste scelte?
A cosa è dovuta questa crisi dell’istituzione scolastica?
Per rispondere a questi interrogativi, negli ultimi anni sono stati scritti tanti libri, sono stati creati tanti siti web, sono nate tante iniziative attorno a questo tema, ve ne segnaliamo alcune: il documentario “Figli della libertà” (2017) di Lucio Basadonne, il film “Captain Fantastic” (2016) di Matt Ross, il film “being and becoming” (2014) di Clara Bellar; il sito controscuola e il libro Homeschooling- l’educazione parentale in Italia (2017) di Erika Di Martino (edito in proprio come Ebook). Torneremo comunque sull’argomento della descolarizzazione…

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