C’è ancora dolore e tanta rabbia per la morte dei due fratelli Jota. I due, che viaggiavano assieme su una Lamborghini, non hanno avuto scampo quando la vettura (pare a causa dello scoppio di uno pneumatico) è sbandata uscendo di strada e prendendo fuoco. Inutili i soccorsi: i due fratelli sono morti tra le fiamme nel rogo dell’auto.

I funerali di Diogo Jota e André Silva

Un dolore che ha trovato il suo apice durante la commemorazione dei funerali, nella mattinata di sabato scorso, presso la chiesa di Gondomar. Presenti all’evento anche numerosi calciatori sia del Liverpool che del Panafiel, rispettivamente le squadre di Diogo e di André. Da far presente anche il bel gesto del Liverpool di voler continuare a pagare i due anni di contratto rimanenti alla famiglia di Diogo, oltre che al ritiro della maglia numero 20 in segno di rispetto verso il proprio calciatore.

Purtroppo però la rabbia continua a scorrere, pensando al fatto che ad essere morti sono due ragazzi giovanissimi, che giocavano al pallone divertendosi e con due carriere ancora da scrivere. Tremendo il fatto che Diogo si sia sposato meno di due settimane fa e che André avesse appena iniziato a scalare le gerarchie nella sua squadra, insomma due vite spezzate nel loro momento più alto.

Oltre il dolore si aggiungono le polemiche

Oltre il lato del dolore e della rabbia, c’è anche quello delle numerose polemiche che stanno invadendo i social. Molte persone si sono soffermate sul fatto che la maggior parte delle morti delle star o delle persone importanti, sia dovuto all’eccesso e a quella sensazione di sentirsi intoccabili. Polemiche che seguono questi eventi che a mio parere non sempre sono ingiuste. Alcune sono dure, ma pongono domande che dobbiamo ascoltare: è accettabile il fatto che quando si ha tutto non ci si preoccupa di quanto poco basti per perderlo?

Perché non si tratta solo di chi muore. Si tratta anche di chi resta. I genitori, gli amici, i tifosi. Chi ama. Si tratta del messaggio che lasciamo: che forse essere felici, oggi, non basta più. Che bisogna anche correre al limite, spingere tutto al massimo, dimostrare di potercela fare. Fino a quando?

E forse il punto è proprio questo: non stiamo giudicando chi muore. Stiamo giudicando il contesto. La cultura del “più veloce”, “più potente”, “più estremo” è una cultura che ha fame di sensazioni, ma rifiuta la fragilità. E invece, la vita è fragile. Si spezza. Anche se sei un campione.

Vi lascio qui il link al video ricordo che il Liverpool ha pubblicato nel suo canale, in onore di Diogo Jota.

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