Aiuto! Ho notato che alcune nuove uscite discografiche o nuove proposte di artisti vengono lanciate come fossero scritte/composte/esito del primo lockdown mondiale causato dal diffondersi del virus COVID-19. Anche questo è un effetto della pandemia e della globalizzazione.
Si sapeva che molti artisti (e scrittori) costretti a casa, avrebbero reagito fondamentalmente in due modalità opposte: c’è chi ha subito un triste blocco creativo e chi invece ha avuto la forza di creare sotto l’influsso malefico del lockdown. Adesso, mesi dopo, ne vediamo i primi effetti e onestamente la tendenza mi disturba. In epoche diverse, la diffusione di malattie ha provocato reazioni artistiche, non c’è dubbio (vedi la peste, secoli addietro). Chiaramente non esisteva un sistema della comunicazione così istantaneo e pervadente come l’attuale, che diffonde tutto, in tutto il mondo, nello stesso momento, comprese molte falsità e stupidaggini. Però non è che il morbillo abbia prodotto dischi, al più l’Aids ha prodotto o ispirato libri, canzoni, film. Avete visto in edicola, in libreria, nei supermercati, la quantità di instant book e altri libri che ha scatenato la pandemia? Comprensibile, ma imbarazzante. Adesso invece assistiamo a una pioggerella di dischi da COVID. Molto probabilmente li ascolterò, ma ne ho poca voglia.

Altro effetto della globalizzazione, in atto da anni. Chi ha seguito l’evoluzione del K-pop, ha visto l’effetto dirompente del Gangnam Style di Psy, già lontano anni luce (2012), per arrivare fino agli attualissimi, carinissimi, coloratissimi BTS di “Dynamite” (il brano ha da poco superato mezzo miliardo di visualizzazioni su YouTube), in testa alle classifiche di tutto il mondo con un suono molto orecchiabile, funzionale al facilissimo ascolto, che altro non è che la versione sud-coreana (però cantata in inglese) di un fenomeno vecchio come il cucco, quello delle boy band, che cantano-ballano e intrattengono con grande abilità. Dagli anni Sessanta, non mancano brillanti esempi, più o meno influenzati dalla musica pop, oppure dal soul e R’n’B: dai Jackson 5 gioielli della Motown, ai più recenti Take That, Backstreet Boys, One Direction, anche Spice Girls sul fronte femminile, I Ragazzi Italiani, ‘N Sync, Boyzone, ecc.

I BTS sono in sette e il loro successo dalla nascita del gruppo nel 2013 li ha portati fino a ricevere un’alta onorificienza dal Presidente della Repubblica del Corea del Sud, un po’ come avvenne negli anni Sessanta in Inghilterra ai membri dei Beatles, per meriti simili. Ora Samsung, altra grande potenza industriale sudcoreana, sta utilizzando “Dynamite” come colonna sonora nei suoi spot globali per i nuovi smartphone. Qual è la grande novità dei BTS? È solo una: che vengono dalla Corea del Sud, una nazione che nel resto del mondo stiamo imparando a conoscere solo adesso; per il resto, i BTS sono la più efficace e scientifica rappresentazione della globalizzazione musicale.
Il commento è rivolto non tanto ai BTS quanto agli effetti della globalizzazione, che sul piano artistico è una tremenda banalizzazione e produce l’omogeinizzazione dei prodotti, nonostante origini, tradizioni e linguaggi diversi. Scarsa varietà e noia infinita.

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