Orso polare abbattuto in Islanda: una tragica conseguenza della crisi climatica
Un raro esemplare di orso polare è stato abbattuto in Islanda. Era una minaccia per le persone. Il documentario "Chasing Ice"
Un raro esemplare di orso polare è stato abbattuto in Islanda. Era una minaccia per le persone. Il documentario "Chasing Ice"
Il 20 settembre 2024, un raro esemplare di orso polare è stato abbattuto dalle forze di polizia islandesi nella zona di Skagaströnd, lungo la costa settentrionale del Paese. Considerato una potenziale minaccia per la popolazione, l’animale è stato abbattuto, senza considerare la possibilità di cattura e trasferimento in zone più remote.
L’episodio, che ha avuto una risonanza mediatica internazionale, ha suscitato forti reazioni mettendo ancora una volta in evidenza la crescente difficoltà di gestire le conseguenze del cambiamento climatico e i suoi impatti devastanti.
Negli ultimi anni si è registrato un aumento degli avvistamenti di orsi polari in Islanda, che arrivano sull’isola trasportati dagli iceberg che si staccano dai ghiacciai groenlandesi, colpiti dai graduali aumenti delle temperature.
La perdita del loro habitat naturale a causa del riscaldamento globale, ha spinto gli orsi a migrare in altre zone alla ricerca disperata di cibo, arrivando a coprire anche distanze molto lunghe.
La presenza di orsi polari in Islanda non è rara, ma rappresenta uno dei sintomi di un problema più ampio. Secondo i climatologi, il riscaldamento globale a cui stiamo assistendo ha comportato un graduale scioglimento del ghiaccio dell’Artico che ha raggiunto uno dei livelli più bassi mai registrati, costringendo gli animali che normalmente abitano quelle zone, come gli orsi polari, a spingersi in luoghi inusuali per cercare del cibo, aumentando così la possibilità di interazioni con gli esseri umani che spesso si concludono in modo tragico per gli animali.
L’abbattimento di questo orso, quindi, è sicuramente una tragedia ma anche un monito urgente. Gli orsi polari non dovrebbero trovarsi in queste zone, lontani dal loro habitat naturale. Per questo, la loro presenza è un indicatore allarmante della velocità con cui stiamo perdendo le aree glaciali sul nostro Pianeta.
Lo scioglimento dei ghiacciai è un fenomeno che interessa diverse zone del Pianeta. In Groenlandia, Argentina e persino in Italia assistiamo annualmente alla perdita di questi giganti di ghiaccio che ospitano una moltitudine di specie animali. Per darvi un esempio tangibile, in Italia il ghiacciaio della Marmolada ha visto una diminuzione drastica del suo spessore massimo: dai 50 metri del 2014 è arrivato a soli 23 metri nel 2024.
Quali sono le conseguenze? Questo radicale calo del volume dei ghiacci non solo priva la fauna locale del proprio habitat naturale, ma porta alla trasformazione del paesaggio e alla nascita di nuovi ecosistemi. E non dimentichiamoci anche di un’altra questione che riguarda lo scioglimento dei ghiacci: il rilascio di virus e batteri intrappolati per millenni nel permafrost che, una volta liberati nell’aria potrebbero scatenare l’insorgenza di nuove epidemie.
Se pensavamo quindi che fosse solo un problema degli orsi, ci sbagliavamo di grosso.
Su questo tema è incentrato anche il documentario Chasing Ice che offre uno spaccato ancora più concreto e drammatico sulla velocità con cui i ghiacciai si stanno sciogliendo. Diretto da Jeff Orlowski, il film segue il fotografo ambientalista James Balog, impegnato nel documentare il ritiro dei ghiacciai in Groenlandia, Islanda e Alaska attraverso un progetto chiamato Extreme Ice Survey.
Il documentario è uscito 12 anni fa, e già allora si cercava di sensibilizzare il pubblico a proposito delle conseguenze di questi cambiamenti. I ghiacciai, una volta sciolti, non si ricostruiscono, o almeno impiegano moltissimi anni per farlo. Questo significa che la fauna che dipende da essi, come gli orsi polari e gli altri animali, rischia di non avere più un habitat in cui sopravvivere.
In merito all’abbattimento dell’orso polare, le autorità islandesi hanno dichiarato che non c’erano le condizioni per una cattura in sicurezza, decisione giustificata dalla necessità di proteggere gli abitanti di Skagaströnd. Tuttavia, organizzazioni come il WWF e vari esperti di conservazione faunistica hanno criticato la scelta, sostenendo che avrebbero dovuto essere prese in considerazione altre soluzioni meno drastiche, come la sedazione e il trasferimento dell’animale in una zona più sicura e remota.
Il caso islandese non è un episodio isolato. La convivenza tra uomini e grandi predatori è diventata sempre più difficile in molte aree del mondo, con conseguenze spesso fatali per gli animali. In Italia, un caso simile che ha suscitato scalpore è stato quello dell’orsa Kj2, che nel 2017 era stata abbattuta in Trentino dopo un’aggressione a un escursionista. Lo stesso è accaduto quest’anno, nel mese di agosto, quando è stata abbattuta l’orsa Kj1, ritenuta pericolosa dopo aver aggredito un turista francese.
Il progressivo aumento di questi incontri tra esseri umani e animali selvatici è un chiaro indicatore di un ecosistema in sofferenza. Se da un lato i ghiacciai si sciolgono e l’habitat naturale si riduce, dall’altro gli esseri umani si trovano sempre più spesso a dover gestire situazioni di emergenza che andranno ad aggravarsi in futuro.
L’orso polare abbattuto in Islanda è solo l’ultimo esempio di una situazione non più sostenibile che richiede una risposta immediata di portata globale.