Ripensavo a quando tra i banchi mi dicevano che le storie sono sempre le stesse, alla fine sono tutte l’Antigone, tutte l’Orestea, tutte Giulietta e Romeo. Mi dicevano però anche che quello che è importante è saperle raccontare di nuovo

Ho riflettuto su questo leggendo Anche noi l’America di Cristina Henriquez edito da NNE: il libro raccontava le solite storie, l’amore, il pentimento,  il sacrificio, il senso di comunità, la separazione. Niente di nuovo? Non proprio, qualcosa di nuovo c’è, ed è quello che di nuovo c’è sempre quando leggiamo un bel libro: la scrittura e i punti di vista.

Cristina Henriquez con Anche noi l’America è riuscita a scrivere un romanzo a tante voci, componendo un quadro impressionista: ogni voce è un pennellata, ogni voce senza un’altra accanto non ha forza, ma le voci, raccolte insieme, hanno finalmente senso e con il senso assumono anche bellezza. 
Ma andiamo con ordine. 

Anche noi l’America racconta dell’arrivo nel Delaware di Maribel e dei suoi genitori, che dal Messico hanno deciso di trasferirsi negli Stati Uniti per permettere alla figlia di frequentare una scuola adatta ai suoi bisogni: la giovanissima Maribel ha avuto un incidente e necessita di attenzioni speciali. La famiglia va a vivere in una casa vuota, misera: i tre hanno un solo materasso per terra, poco da mangiare e poco con cui coprirsi, conducono una vita ai margini della società, ma trovano una comunità latino americana vivace e attenta, i cui membri impareremo a conoscere nel corso della lettura.

Maribel appare spesso distante, confusa, disorientata: dopo l’incidente la vera Maribel è rinchiusa dentro quel corpo, da qualche parte, ma è difficile da raggiungere. 

Leggendo questo romanzo mi sono sentita, da lettrice, vicina alla protagonista: anche io confusa, anche io aliena, con l’ovatta intorno alla testa, stordita da tante storie, tanti non detti e da molta gente sconosciuta

Maribel è isolata e così anche il lettore, che non riesce a capire sempre tutto e al quale le dinamiche della piccola comunità a volte sembrano troppo complesse. Un lettore europeo, estraneo a quella comunità, può davvero godere appieno dello spaesamento che Maribel sente. In questo romanzo, che non doveva avere nulla di nuovo, c’è tutto. Ci sono la vita, la rinascita, la morte: un ciclo completo. Mi piace questo libro, perché mette alla prova il lettore, lo sfida a ricordare e a costruire un puzzle, questo libro non mette il lettore su un piedistallo, lo pone al centro di una stanza, bendato, e lo fa girare su se stesso, fino a fargli perdere l’orientamento.

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