Animal Capitalism. Animalcapitalism.org è una piattaforma curata da Terike Haapoja, artista e ricercatrice finlandese, che da anni indaga il rapporto tra animalità, giustizia e produzione sociale. Questo sito è molto più di un archivio: è una mappa teorico-politica che disegna i confini e le aperture di una critica del capitalismo come sistema di sfruttamento multispecie.

Al centro del progetto c’è un interessante manifesto che mette in discussione l’idea stessa di umanità come fondamento neutro dell’universale. Il capitalismo ha costruito il soggetto umano attraverso l’esclusione dell’animale, così come ha costruito il cittadino attraverso l’esclusione dello schiavo, del colonizzato, della donna. Gli animali non sono “altri” esterni al sistema, ma ingranaggi essenziali della macchina produttiva.

Il sito si articola in sezioni dense e interconnesse. C’è una bibliografia critica, dove ho il piacere e l’onore di essere stato incluso, che raccoglie contributi da diverse tradizioni marxiste, decoloniali, antispeciste. Ci sono materiali educativi, percorsi per la formazione e la militanza. Ci sono aggiornamenti su eventi, conferenze, azioni artistiche e politiche. Ma soprattutto c’è un linguaggio diverso, sobrio, rigoroso, capace di tenere insieme teoria e prassi, filosofia e attivismo, pensiero e vita.

Animal Capitalism, sottrarre la critica del corpo alla deriva “simbolica”

Il merito più profondo di iniziative come Animal Capitalism è quello di cercare di sottrarre la critica del corpo e della soggettività alla deriva “simbolica” che ha caratterizzato molti discorsi di sinistra degli ultimi decenni. Parlare di corpo, oggi, è diventato spesso un modo per non parlare di nulla: un feticcio discorsivo che serve a mascherare l’assenza di analisi materiale. Sotto il segno di Foucault e Deleuze, la corporeità si è trasformata in superficie di iscrizione, in evento, in intensità, ma il corpo in quanto tale resta un concetto astratto e idealistico se lo sguardo che lo descrive non è in grado di pensare la materialità della realtà storico-sociale, se non sa analizzare il campo di forze in cui si gioca la fondamentale dialettica della civiltà e della natura.

Solo un materialismo che non riduce il corpo a “pratica discorsiva”, né ad “atto performativo”, ma che lo articola nella sua doppia natura di soggetto e oggetto della storia — del lavoro, della riproduzione, del dominio come sistema di sfruttamento — può restituire senso alla parola “intersezionalità”. Purtroppo, questo concetto è diventato invece oggi il passepartout di ogni confusione in cui si mescolano individualismo borghese, wokismo liberal e pseudo-ribellismo anarchico.

Molti movimenti e gruppi sedicenti “anticapitalisti” oggi sono infatti ammorbati da un linguaggio ereditato dal post-modernismo, un linguaggio che svuota la critica materiale della realtà sociale per sostituirla con analisi linguistiche, atti di testimonianza del sentire individuale, con le inevitabili derive soggettivistiche e moralistiche che questo comporta.

L’intersezionalità

L’intersezionalità diventa un’idea al tempo stesso troppo astratta e troppo particolare, centrata sulla falsa concretezza del vissuto individuale mentre sostituisce al pensiero della totalità sociale le sue fumisterie su un “sistema di dominio” che è solo una parola vuota per indicare il punto di tangenza immaginario di tutte le oppressioni. Queste ultime vengono annotate con cura nei registri contabili dell’attivismo per essere così immediatamente annacquate e omologate in uno zoo mentale di soggettività marginali da imbalsamare e “proteggere”.

L’anticapitalismo di questo tipo di attivisti consiste pertanto in un perenne parlarsi addosso, in una chiacchiera che tanto più si spaccia per “concreta” e “politica”, quanto più si fissa impotente a ripetere i suoi slogan generici su una immaginaria “unità delle lotte” mentre si limita a passare scrupolosamente in rassegna i vissuti dei marginali e vigilare sulla correttezza politica di chi è abilitato a parlarne.

In questo scenario tronfio e culturalmente desolante, Animal Capitalism è uno strumento umile ma prezioso per chi rifiuta la neutralizzazione liberal delle lotte e cerca invece una sintesi politica capace di affrontare la totalità sociale e tutte le sue contraddizioni strutturali, senza semplificarle nella melassa priva di pensiero cui troppo spesso si riduce l’anticapitalismo (senza socialismo).

Per approfondire il lavoro teorico, estetico e politico che ha portato alla nascita del sito, vale la pena esplorare anche le opere artistiche di Terike Haapoja. Il suo lavoro visivo, esposto a livello internazionale, continua ad articolare con forza e immaginazione le questioni sollevate sul piano teorico. Una selezione rappresentativa si trova qui, perché la critica ha bisogno anche di forme, di sensibilità, di altri modi per rendere visibile l’invisibile.

Condividi: