La Biennale d’arte di Venezia nella sua 60esima edizione offre una novità unica: il Padiglione della Santa Sede ambientato all’interno della Casa di reclusione femminile della Giudecca.

Il titolo Con i miei occhi è tratto da un frammento di poesia che riprende un antico testo sacro e una poesia elisabettiana.

“Non ti amo con i miei occhi”

(Shakespeare, Sonetto 141) risuona con i versetti 42.5 del Libro di Giobbe

“I miei occhi ti hanno veduto”.

Una dissolvenza incrociata, che sfuma in un’azione dove il vedere è sinonimo di toccare con lo sguardo, di abbracciare con l’occhio, di far dialogare la vista e la percezione. Le opere esposte nascono dalla collaborazione tra gli artisti e le detenute del carcere e la stessa visita al Padiglione è un incontro tra il pubblico e le ospiti dell’istituto di pena: il mondo dentro e il mondo fuori si incontrano, annullando la distanza (almeno per un po’) attraverso l’arte.

Il contesto influenza totalmente la visita che richiede di essere preparata in tempo e che segue una specifica procedura. L’ingresso va prenotato in anticipo (ogni giorno è previsto l’accesso di quattro gruppi di 25 persone); non è possibile portare all’interno effetti personali e cellulari (che vanno riposti al momento della accettazione dentro una cassetta di sicurezza come se si andasse ad un colloquio con le detenute); le guardie carcerarie accompagnano i visitatori lungo tutto il percorso, a partire dall’ingresso nella casa di detenzione.

La ritualità necessaria all’interno di un carcere (tra cui il tintinnio di chiavi che aprono e chiudono i pesanti cancelli e l’esclusione dei cellulari) consentono di vivere un’esperienza totalmente immersiva, lasciando fuori ogni sorta di distrazione e restituendoci l’esperienza e la potenza dell’arte nella sua interezza.

Nel Padiglione alla Biennale tutto è frutto di un’energia che sfida le convenzioni artistiche e quelle carcerarie, dove progetti pragmatici si intrecciano con la creatività di mondi solitamente paralleli, stranieri l’uno all’altro, in linea con l’urgenza del dialogo poliedrico proposto da papa Francesco.

Biennale. Le opere in “Con i miei occhi”

La sola opera visibile dall’esterno, l’unica fotografabile, si trova sul muro della cappella e rappresenta due piedi sporchi. L’autore, Maurizio Cattelan, probabilmente ispirandosi al Compianto sul Cristo morto di Andrea Mantegna e ai piedi dei santi popolani rappresentati da Caravaggio, ne sfrutta lo stesso escamotage prospettico, consentendo di proiettarci all’interno del carcere.

La prima sala espositiva è la caffetteria della Casa in cui sono esposte le opere di Corita Kent. La Kent è stata una suora americana, attivista, tra gli anni 60 e 70, attraverso le sue opere pop contro la guerra, la povertà e la violenza.

Il corridoio all’aperto ospita alcune lastre di lava sulle quali l’artista Simone Fattal ha dipinto poesie e testi delle detenute. Al termine del corridoio si trova un’opera del collettivo Clarie Fontaine: un neon che rappresenta un grande occhio attraversato da una sbarra.

Arriviamo quindi ad una stanza senza sbarre (l’unica) con vista su un orto curato dalle detenute, prima di giungere al cortile dell’ora d’aria, dove campeggia un secondo neon di Claire Fontaine:

“Siamo con voi nella notte”.

È la ripresa di una scritta apparsa fuori dalle carceri italiane negli anni Settanta.

Il cortometraggio

Si passa attraverso la sala dei colloqui prima di giungere ad una stanza in cui viene proiettato un cortometraggio, con la regia di Marco Perego e interpretato dall’attrice Zoë Saldaña, sua moglie. E’ un racconto dell’ultimo giorno di una donna da detenuta all’interno della Casa della Giudecca e vede la partecipazione delle stesse ospiti del carcere.

Nell’ultima stanza, sono esposte le opere di Claire Tabouret. L’artista figurativa, tra le più interessanti nel panorama attuale, ha scelto di realizzare una serie di ritratti sulla base delle fotografie inviate da alcune detenute, che hanno scelto loro stesse, da bambine, o gli affetti più cari (i loro figli).

Infine, la cappella sconsacrata dal cui soffitto sono sospese le sculture di Sonia Gomes che ci costringono a guardare in alto.

Sull’architrave è incisa la scritta: REMITTUNTUR EI PECCATA MULTA QUONIAM DILEXIT MULTUM, ossia I suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato.

Parole e immagini si fondono grazie alle detenute, agli artisti e ai poeti che contribuiscono alla narrazione artistica e storica del luogo, dove la visita al padiglione è un percorso guidato dalle detenute-conferenziere. Questo progetto apre prospettive inedite sulle dinamiche sociali e artistiche, sfidando pregiudizi e convenzioni, riflettendo sulle strutture di potere nell’arte e nelle istituzioni.

L’arte alla Biennale è riuscita nel miracolo di annullare una profonda separazione, tra noi e loro, almeno per qualche minuto.

Vademecum
“Con i miei occhi”: Padiglione Vaticano alla Biennale Arte di Venezia,
Casa di reclusione femminile di Venezia-Giudecca, dal 20/04/2024 al 24/11/2024.

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