Dieci minuti al giorno. Tutti i giorni. Per un mese. Dieci minuti per fare una cosa nuova, mai fatta prima. Dieci minuti fuori dai soliti schemi. Per smettere di avere paura. E tornare a vivere. 

E’ tutto qui il senso del film Dieci Minuti diretto da Maria Sole Tognazzi e da lei cosceneggiato insieme a Francesca Archibugi, e liberamente ispirato al romanzo Per dieci minuti di Chiara Gamberale.

Dieci minuti, la trama

Bianca (Barbara Ronchi) è un’aspirante scrittrice che soffre di disagio psichico. È stata lasciata da suo marito, il quale si è sentito subissato e manipolato dalla debolezza di Bianca e dalla sua continua ricerca di attenzioni. Dopo aver tentato il suicidio, Bianca è stata ricoverata in ospedale ed è stata presa in carico dalla dr.ssa Giovanna Brabanti (Margherita Buy), psichiatra psicoterapeuta di indirizzo cognitivo-comportamentale. La dott.ssa Brabanti le dà un compito: dedicherà dieci minuti ogni settimana a fare qualcosa che non abbia mai fatto in trentacinque anni. Dopo il ricovero, Bianca vive con Jasmine, una sua sorella nata da una relazione extraconiugale di suo padre e di cui, apparentemente, sua madre ignora l’esistenza.

Grazie al gioco dei dieci minuti, Bianca mette a fuoco un aspetto di sé fino ad allora recondito, quello di non essere mai stata veramente attenta agli altri. Imparerà a essere meno concentrata su sé stessa e, osservando il mondo intorno a sé, imparerà a prendersi cura degli altri e di sé stessa. L’acquisizione del principio di realtà, vero obbiettivo della terapia, la riconduce in Sicilia, dove finalmente affronterà sua madre che le rivelerà di aver sempre saputo di Jasmine e dell’infedeltà di suo marito.

Un film che promette molto
ma offre troppo poco

Nonostante l’ottima prova di Barbara Ronchi, e quella forse meno splendida, ma comunque forte e determinante, di Margherita Buy, il film non decolla del tutto, e se da un lato può contare su una valida e robusta sceneggiatura, si perde un po’ nelle trame dei personaggi, accarezzando spesso con estrema gentilezza ognuno di loro, senza tuttavia entrare nelle pieghe delle vite, delle problematiche, dei desideri e delle aspirazioni. Lo sfasamento temporale che contraddistingue la narrazione, tutta incentrata su Bianca (Ronchi), disturba un po’, i piani spesso si confondono senza alcuna indicazione chiara del dove, ma soprattutto del quando.

Pesante la parte centrale del film, troppo veloce la chiusura. Opaca la figura di Niccolò, il marito (Alessandro Tedeschi) del quale poco si capisce all’inizio e poco si mette insieme durante il corso degli eventi pur avendo un ruolo di assoluta importanza nella vita di Bianca. Un passaggio troppo veloce anche sui genitori di Bianca, e sulla sorella. Uno spostarsi continuo avanti e indietro nella storia che disturba l’alone di grande tenerezza che la sceneggiatura, questa si abilmente, ha dipinto sullo sfondo della narrazione e intorno a Bianca, al suo mondo, ai suoi piccoli e grandi inciampi di vita.

Molte le differenze tra il film di Tognazzi e il libro di Gamberale, ma unico è l’obiettivo: raccontare come il cambiamento sia spaventoso, destabilizzante ma al tempo stesso necessario, e come con pochi minuti al giorno ci si possa nuovamente sentire vivi.

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