Ho finito adesso di vedere su Netflix (uscito il 24 dicembre) Don’t look up. Centrotrentotto minuti di montato che non possono lasciare indifferenti. E non per le interpretazioni inconsuete di attori e attrici del calibro di Leonardo Di Caprio (che torna a recitare dopo due anni, suo debutto in streaming), Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Timothee Chalamet, Cate Blanchett, e moltissimi altri, ma soprattutto per lo sconcerto di vederci ritratti da Adam McKay (che firma sceneggiatura, regia e produzione) proprio come siamo: perfetti idioti.

Idiota la Presidente degli stati Uniti, Meryl Streep, che manda le foto della sua passera e si fa beccare, idiota il figlio, suo braccio destro alla Casa Bianca alla faccia dei nepotismi, idiota Cate Blanchett, giornalista che nel suo letto colleziona uomini di potere, idiota la dottoranda che ha scoperto la cometa che distruggerà la Terra, Jennifer Lawrence, che sbrocca in diretta tv, idiota il suo professore, lo scienziato Leonardo Di Caprio, banderuola al vento sotto psicofarmaci, idioti i cittadini, greggi pascolate dall’uomo più ricco del mondo, il CEO di un’azienda che ricorda tanto Facebook, idioti perfino gli attivisti, che spaccano vetrine e danno alle fiamme mezza città per un passa-parola. Potrei continuare.

In questo tempo di lock-down e pandemia, negazionismo e complottismo, scientismo e metaverso, no-vax e Big-pharma, fino al terrapiattismo, questo film sembra una citazione talmente pedissequa da risultare di fatto una docufiction sulla contemporaneità: la Terra è minacciata da un evento che distruggerà il nostro pianeta (Covid? Crisi climatica?) ma politica, economia e media si occupano esclusivamente di interessi personali, senza riuscire a focalizzare sul problema reale. Ricorda qualcosa? Sbrigatevi a rispondere che i ghiacci si stanno sciogliendo.

In una satira tanto comica e ridicola (prima parte del film) quanto dolorosa e angosciante (seconda), sembrerà di vedere in scena i Fridays For Future e Greta Thunberg, Zuckerberg e Bill Gates, QAnon e i cospirazionisti, Bill Clinton e Donald Trump, ma anche noi stessi, dicevo, idioti e impauriti, arrabbiati e ignoranti, sconvolti e depressi, increduli e ansiosi, disperati e menefeghisti. E così, tra tentativi di scienziati di convincere la politica a intervenire per salvare la Terra, calcoli della politica su come usare l’evento disastroso in termini di consenso, sfottò dei social verso i ricercatori, braccio di ferro ideologici tra populisti e bonus civis, a contare sono solamente i mezzi di comunicazione.

D’accordo, è uno strabordare di paradossi e stereotipi (il potere con l’ambizione di potere, la giornalista rifatta che usa il sesso per fare carriera, l’attivista borderline, il professore sotto Xanax, lo skater etico, etc), ma – vi assicuro – la parte grottesca e macchiettistica non lede minimamente il climax della narrazione che, anzi, ci mette in imbarazzo proprio per la capacità di restituirci la realtà nuda e cruda: che, in effetti, è scandalosamente surreale.

Don’t Look Up non è – come sembra – un film duro dal sarcasmo spietato ma invece un gesto artistico caldo e accorato che si prende la responsabilità di fare denuncia, tanto che lo si potrebbe definire anche un film politico. Un’opera capace di mettere in scena senza sofisticatezze il grande tema della contemporaneità, quello della post-verità. Un non-luogo dove trafficano bolle distopiche, quella dei media e delle reti sociali, e quella della gestione del potere (ridotto a gestione della comunicazione), in cui abbiamo perso l’istinto più importante, quello della sopravvivenza, che è di fatto la nostra intelligenza.

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