Pinocchio aveva otto anni e viveva sott’acqua. Lo avevano chiamato così per via del suo naso lungo come il burattino di legno. Pinocchio sapeva parlare con i pesci e i coralli. Si prendeva cura di loro. Tutto il giorno nuotava nei fondali marini, giocava con un polpo di nome Nick che gli leggeva storie di balene e pescatori.

Con il suo inchiostro disegnava i personaggi della favola sui sassi piani depositati fra la vegetazione. Custodiva le perle e le difendeva dai subacquei che cercavano di rubarle. La notte, grazie alla luce della luna, che faceva il bagno nel mare, raccoglieva tutte le plastiche che le mareggiate depositavano sul fondo e le rispediva sulle spiagge con l’aiuto della tartaruga Sibilla.

Pinocchio si nutriva di piccole piante, prima di mangiarle ogni volta chiedeva scusa e si commuoveva. Si sentiva quasi in colpa. Pinocchio sembrava essere un bambino felice, non gli mancava il mondo terrestre e nel mare trovava tutto quello di cui aveva bisogno per vivere. Quando andava a caccia di ricordi ritrovava tutti gli oggetti che gli ricordavano il mondo al di sopra del mare – telefonini, monopattini e altri giocattoli – una volta ritrovò persino un costume di carnevale da Harry Potter completo di mantellino e bacchetta magica.

Pinocchio viveva anche momenti di nostalgia. Gli mancava sua madre, a volte la sognava, lei era una specie di Fata vestita di rosso, insieme nuotavano nel fondo del mare. Si abbracciavano, giocavano e si scambiavano coccole e tenerezze. Ma ad ogni risveglio sua mamma svaniva. Era solo il movimento del mare agitato nei giorni di tempesta che assumeva le sue sembianze.

Pinocchio, triste, solo e perduto, si raggomitolava nella pancia dell’ostrica gigante e si addormentava. Lei non parlava e lui cercava di insegnarle le parole. La grande perla rosa sembrava piangere ogni volta che Pinocchio tentava di parlarle e le cantava dolci canzoni.

Una notte, mentre era intento a raccogliere le plastiche e i rifiuti nel fondo del mare, Pinocchio si imbatté in un enorme sommozzatore. Stava tentando di rubare la perla rosa. Pinocchio cercò a tutti i costi di impedirglielo, combatté fino allo stremo delle forze.

Il sommozzatore nero afferrò la perla e nuotò rapidamente verso la salita. Pinocchio lo seguì, aveva paura di uscire dall’acqua, non sapeva respirare, aveva le branchie sotto gli orecchi, ma il desiderio di salvare la perla era più forte. La sua testa ora era fuori dall’acqua, respirava forte, mentre le mani dell’uomo lo spingevano sott’acqua.

Nooo, papà, perché fai questo? Aiuto, mamma, aiuto. No papà”.

Pinocchio in realtà era nella sua vasca da bagno e suo padre cercava di affogarlo. Il bambino lo implorava di smettere, gli morse le mani e tentò di emergere aggrappandosi al polpo e la tartaruga di gomma che galleggiavano nella vasca.

Sua madre gli corse in aiuto, afferrò la grande ampolla di vetro rosa dei dischetti struccanti e la scaraventò con ferocia sulla testa dell’uomo che esamine svenne e lasciò il bambino. Pinocchio riabbracciò sua madre. Arrivarono le sirene della polizia e portarono via l’uomo. Era il giorno di Natale.

Pinocchio e la sua mamma erano felici e insieme stavano costruendo una barchetta di carta lasciandola navigare nella vasca da bagno come se fosse in mezzo al mare cantando insieme una canzone di Nick Cave: “O’ Children Lift up your voice. Children, Rejoice”.

Madre e figlio – Chagall

Perché raccontarvi questa favola? Perché le favole nascondono sempre un lato oscuro, che solo raramente viene esplorato. E allora vi propongo due film che rivisitano le favole in chiave dark: In compagnia dei lupi, di Neil Jordan, che propone una visione horror della fiaba di Cappuccetto rosso con spunti psicanalitici, e Biancaneve nella foresta nera, di Michael Cohn, candidato a tre Emmy, che riscrive la fiaba in una versione più umanizzata ma anche terribilmente crudele, esplorando il tema della follia umana.

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