Il 17 agosto, in un ospedale di Oporto, è arrivato Hugo Guilherme, il primo bambino nato con la fecondazione post mortem. Il padre, marito di Ângela Ferreira, era morto a 29 anni per un tumore maligno nel 2019 ma aveva crioconservato il suo seme e redatto una autorizzazione legale per procedere alla fecondazione assistita. Non è stato facile, per la vedova, vincere la lunga battaglia legale: infatti, secondo la legge portoghese sulla procreazione assistita (risalente al 2016) la fecondazione con materiale genetico di un donatore defunto è vietata. Ma, come spesso accade alle leggi che non vengono aggiornate con il galoppo della contemporaneità, c’era una crepa normativa, quella che ha permesso al raggio di sole di filtrare: il divieto, infatti, si poteva applicare solo ai donatori di famiglia ma non agli anonimi, che essendo tali potrebbero essere già deceduti.

Un vuoto normativo simile a quello che ha permesso a Eugenia Romanelli e sua moglie, Rory Cappelli, di vincere la battaglia legale e ottenere dal Tribunale la seconda sentenza di stepchild adoption italiana (raccontano la loro storia nel libro Nata con noi, edito da Giunti nel 2023): da nessuna parte era scritto che l’orientamento sessuale di chi richiede l’adozione in casi particolari fosse dirimente (e ci mancherebbe, aggiungo!).

Ferreira quindi, subito dopo la morte del marito, è scesa in campo, attivando una raccolta di firme e accendendo un dibattito pubblico robusto attraverso i media, che, da questione sociale, è diventata questione politica e giurisprudenziale, tanto da arrivare in Parlamento e ottenere, grazie al fronte compatto di tutti i partiti di sinistra, la modifica della legge, nel marzo del 2021: promulgata dal presidente della Repubblica, dopo un suo primo veto, a novembre dello stesso anno il Portogallo diventava tra i primi Paesi che permettono la fecondazione post mortem di uno dei due coniugi.

Adesso Hugo (nome del padre) Guilherme (nome scelto dal padre) pesa più di quasi quattro chili e sta bene. Insieme alla felicità che proviamo con sincera empatia per questa donna coraggiosa che, grazie al suo impegno, è riuscita ad affermare per sempre qualcosa di necessario e determinante per tuttə, e cioè il valore indiscutibile dell’unicità di ognuni famiglia, resta aperta la questione bioetica – che è la stessa che riguarda la gestazione per altri o la procreazione medicalmente assistita: per la prima volta dalla sua origine, la nostra specie può riprodurre la vita in laboratorio. Un tema sconvolgente, che chiama in causa il senso di onnipotenza, il narcisisimo, il nostro rapporto con i limiti, ma che va affrontato in modo laico: “C’è bisogno, in Bioetica, di un pensiero libero – dice a ReWriters Luisella Battaglia, founder dell’Istituto Italiano di Bioetica, prof.ssa ordinaria di Bioetica e Filosofia Morale (Università di Genova) e componente del Comitato Nazionale per la Bioetica – che non si limiti ad applicare vecchie categorie a nuovi problemi, ma accetti audacemente la sfida dell’immaginazione e della creatività“.

Per Daniela Galliano, medico-chirurga specializzata in ginecologia, ostetricia e medicina della riproduzione, responsabile del Centro PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) di IVI Roma, impegnata come attivista anche in sostegno delle nuove forme di genitorialità (qui trovi il talk su questo curato da lei al ReWriters fest.) “In Italia la fecondazione post mortem è vietata e che io sappia senza alcuna proposta di legge: al momento, da noi occorre un giudice che analizzi casa per caso ci dice. In molti paesi è invece permesso. In Spagna, dove anche lavoro, come sempre è tutto più facile: basta recarsi, prima di morire, davanti a un notaio e autorizzare il seme o gli embrioni dopo la tua morte. Come sempre da noi la materia genitorialità è scottante“.

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