I talked with a zombie, ovvero, facendo il verso al celebre film I Walked with a Zombie di Jacques Tourneur (1943), ho fatto una bella chiacchierata con l’attore Giovanni Lombardo Radice, icona del cinema horror italiano degli anni ottanta.
Chi è Giovanni Lombardo Radici, in arte John Morghen, ce lo racconta lui stesso nel sua autobiografia intitolata “Una vita da zombie. Vita privata e carriera di una star dell’horror” (David and Matthaus edizioni, 2016). Un diario intimo ricco di ricordi, episodi e confessioni accaduti sul set ma anche nella vita privata. Le vicende, anche rocambolesche, descrivono un uomo determinato e deciso, follemente innamorato del teatro ed entrato quasi casualmente – ma con un consenso unanime del pubblico – nel mondo della settima arte.
Scrive: “Profondamente concentrato nelle sue misure e nei pensieri foschi, il giovane non ha prestato attenzione al piccolo gruppo di persone che sta chiacchierando in platea, persone di spettacolo che sono state invitate a dare un’occhiata al teatro restaurato prima dell’apertura ufficiale. Non ha notato che una piccola signora bionda sulla quarantina lo stava guardando intensamente. Quando il suo inutile lavoro è finito, scende i pochi gradini dal palcoscenico, pronto ad andarsene, ma la signora lo ferma e gli fa una domanda che lo sorprende: scusa hai mai fatto un film?. […] Non sa che la signora (ndr. Anna Maria Spasiano) è la madre dell’attrice sexy Silvia Dionisio o che Silvia è la moglie del regista Ruggero Deodato”. E sarà proprio quest’ultimo a farlo esordire nel 1980 nel film La casa sperduta nel parco che lo proietterà immediatamente nel mondo del cinema di genere. E da lì non si è più fermato, ha interpretato oltre trenta film, molti dei quali pietre miliari della cinematografia del brivido e non solo. Per citarne alcuni: Apocalypse domani di Antonio Margheriti (1980), Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci (1980), Cannibal Ferox di Umberto Lenzi (1981), La chiesa di Michele Soavi (1989), La setta di Michele Soavi (1991), Body Puzzle di Lamberto Bava (1992), ma anche Honolulu Baby di Maurizio Nichetti (2001), Prendimi l’anima di Roberto Faenza (2002), Gangs of New York di Martin Scorsese (2002), Omen – Il presagio (The Omen) di John Moore (2006), Il nascondiglio di Pupi Avati (2007), Viva la libertà di Roberto Andò (2013), Una gita a Roma di Karin Proia (2016) ed Everybloody’s End di Claudio Lattanzi (2019), il suo ultimo film. Senza contare le numerose esperienze televisive e le sceneggiature scritte.
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Mi accingo ad intervistarlo con l’emozione di una cinefila che ama il brivido e con l’attrazione per un attore che fin dalle prime parole che scambiamo dimostra una grandissima cultura artistica e letteraria (le sue origini familiari emergono spesso), un’amabile arte del racconto ed una simpatia travolgente. Chiacchieriamo delle sue esperienze sul set, della stima per i registi con cui ha lavorato (ha adorato Antonio Margheriti ed il modo in cui Luigi Magni e Fabrizio Costa lo hanno diretto), dei consigli di Lucio Fulci (le scenate talvolta vanno anche improvvisate per farsi rispettare sul set), degli effetti speciali truculenti talvolta difficili da rendere (e pericolosi) , di come la sua formazione teatrale gli abbia permesso di rivestire anche ruoli complessi e di come si goda serenamente la sua quotidianità nel suo appartamento romano con vista sul cimitero monumentale (a suo dire lo scelse perché di certo non avrebbe avuto problemi con il vicinato).
Mi racconta: “La formazione teatrale mi ha aiutato parecchio. Mi preparavo molto coscienziosamente perché devo dire che io, e forse è un aspetto che ho ereditato dalla mia famiglia, se faccio una cosa cerco di farla al meglio possibile, qualunque sia, anche se devo giocare a Monopoli. Mi impegnavo in questi film (ndr. i film horror) come se fossi stato Amleto”.
Un attore preciso e meticoloso che studia nel dettaglio i suoi ruoli affidandosi anche alla tecnica della zoomorfia, esercizio che consiste nell’associare ad un personaggio un animale studiandone soprattutto il comportamento fisico.
L’apparenza e la sua filmografia possono trarre in inganno, ritraendo erroneamente un uomo schivo e distante. Giovanni Lombardo Radice si rivela invece un grande professionista, appassionato e preciso, versatile e ambizioso, molto disponibile ed un’attitudine per l’aneddottica.
Un attore che va conosciuto o riscoperto sviscerando, nel senso letterale del termine, la sua filmografia.