Classe 1946, Paul Schrader è stato uno degli esponenti della Nuova Hollywood che si andava definendo a partire dalla fine degli anni ’60 negli Stati Uniti.

Il regista del Michigan è conosciuto soprattutto come sceneggiatore, ricordiamo in particolare la collaborazione con Martin Scorsese per il quale ha scritto le sceneggiature di Taxi Driver (1976), Toro scatenato (1980), L’ultima tentazione di Cristo (1988) e Al di là della vita (1999).

Tra le regie di Paul Schrader ricordiamo American Gigolò (1980) Il bacio della pantera (1982), Mishima – Una vita in quattro capitoli (1985), Affliction (1997), The Canyons (2013), First Reformed – La creazione a rischio (2017).

Da menzionare, per cercare almeno di coglierne la personalità composita e sfaccettata, la sua tesi di dottorato, appena uscito dalla Film School dell’Ucla (University of California di Los Angeles)  che viene edita nel 1972: Transcendental Style in film: Ozu, Bresson, Dreyer; tradotta in italiano solo nel 2002, la tesi vince il Premio Filmcritica “Umberto Barbaro”.

La sceneggiatura perfetta
dell’ultimo film di Paul Schrader

Dai primi di settembre l’ultima fatica di Paul Schrader, Il collezionista di carte, prodotto tra gli altri da Martin Scorsese, è stato distribuito nelle sale italiane e presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Una fotografia oscura, livida e precisa scuote le location della pellicola: alberghi squallidi, sale da gioco, casinò: una certa provincia americana sordida, pregna di solitudine e smarrimento. Una storia che trasuda un senso di attesa inquietante che solo pochi lungometraggi sanno trasmettere.

Il protagonista si domanda c’è un limite all’espiazione? La risposta arriverà nel finale, che ovviamente non vi sveleremo, ma che seguendo con dovizia i segni che il cineasta provvede a seminare lungo il racconto è intuibile. Ancora una volta la colpa, il peccato e l’espiazione diventano i temi predominanti come in quasi tutte le pellicole del cineasta americano.

Un perfetto Oscar Isaac (Tell), imperturbabile, si muove con convinzione impersonando un ex militare da poco uscito di galera che si mantiene giocando a carte. La lenta discesa nell’inferno personale di Tell avviene con pacatezza e il suo dischiudersi agli altri sorprende non poco ma il destino lo attende inesorabile. Una sceneggiatura perfetta manifesta visivamente, con essenziali movimenti di macchina, la coscienza di Tell diviso a metà tra ordine e disforia emotiva: ricordiamo lui che scrive nelle camera d’albergo dopo aver avvolto ogni oggetto con degli asciugamani bianchi. Le location e la fotografia testimoniano il mondo interiore del protagonista, il suo vissuto personale.  

L’accettazione e il disvelamento di ogni piccolo frammento del proprio essere si concretizza in Tell e lo conduce a superare i conflitti del passato per affrontare il presente.

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