C’è un bel libro che recentemente mi è capitato tra le mani. Lo ha scritto un collega di nome Alfredo Palomba, insegnante come me. Il titolo è senz’altro accattivante: Il cuore dell’uragano. Lettera a un ministro dell’istruzione sulla scuola che meritiamo.

Si tratta di una lunga riflessione, spontanea e personale, su che cosa voglia dire oggi fare l’insegnante.

Appunto, trovarsi nel cuore di un uragano.

Quando è appunto necessario saper mantenere il controllo di sé e degli altri per cercare di fare la cosa giusta.

“Penso a un concetto di controllo diverso, non delle incombenze ma di sé, durante la quotidianità scolastica: essere il più possibile presenti a sé stessi, saper affrontare le situazioni problematiche che corredano la vita lavorativa del docente, idra a cui tagliare le teste che, immancabilmente, domani ricresceranno”.

Uragano. Le problematiche giornaliere della scuola

Palomba, con il suo libro, è abile a far calare il lettore nelle problematiche giornaliere della scuola, ma dalla parte di un insegnante. Oggi, in Italia, tanti parlano di scuola e lo fanno ripetutamente. Ma pochi lo fanno con cognizione di causa, e tra questi c’è Palomba.

Lo si capisce non tanto dalle cose che lui scrive a proposito dei colleghi o delle varie incombenze che spettano a un docente.

Lo si capisce, invece, da quel che dice a proposito del suo rapporto con gli studenti. I primi e forse unici interlocutori di chi oggi vuole essere educatore in un istituto formativo.

“Al terrore dell’irrazionale, che travalica i confini del mondo esterno ed entra nella scuola, mostrandosi a un gruppo di ragazzini con il suo portato di delusione e disillusione, dev’essere contrapposto il ragionamento a bocce ferme, una lingua chiara e onesta, il rassicurante procedere delle connessioni logiche”.

Ha perfettamente ragione Palomba. La scuola deve usare un lessico chiaro e trasparente, a sostegno di una logica inoppugnabile in tutto quello che si dice e si fa.

“È una questione che ha a che fare con il giusto e con una sorta di universale equilibrio; mi investo dell’onere sentendomi un samurai che percorre il bushidō, la via del guerriero, con la serenità di chi agisce ogni giorno come se fosse già morto”.

Tuttavia, c’è un altro aspetto che a mio giudizio è molto interessante. E specialmente preoccupante.

Il rapporto con i colleghi e le colleghe

Ovvero adulti che dovrebbero avere titoli e competenze per insegnare.

“Ho incominciato a fuggire dalla realtà scolastica fin dal primo anno da supplente e l’esperienza mi insegna che i motivi saranno sempre in abbondanza: insegno da meno di dieci di anni, eppure ho già incrociato un numero preoccupante di persone secondo me straordinariamente inadatte a gestire il lavoro e, in particolar modo, il rapporto quotidiano con i ragazzi”.

Nel suffragare le proprie tesi, Palomba riporta tutta una serie di episodi veri di colleghi e colleghe che, a leggerli, fanno mettere le mani nei capelli. Nonostante gli pseudonimi usati dall’autore per nascondere la vera identità di tali insegnanti incompetenti.

Dunque, di fronte a tutto ciò, ci si potrebbe lasciare andare alla rassegnazione. E accodarsi a tutti coloro che danno contro alla nostra istruzione.

E invece no. Perché, a un certo punto della propria trattazione, Palomba ribatte ad alcuni luoghi comuni e ai vari detrattori, replicando alle tesi sconfortanti di un altro libro: si tratta del pamphlet del 2008, a firma di Margherita Oggero, Orgoglio di classe. Piccolo manuale di autostima per la scuola italiana e chi la frequenta.

Tra i vari assunti, la Oggero evoca come possibile soluzione per una scuola demotivata e depauperata il ritorno alla severità.

Forse potrebbe essere un’idea. Forse potrebbe essere una strada percorribile.

Ma la nostra scuola è il riflesso della nostra società, e la nostra società è caratterizzata prima di tutto dalla cifra della complessità.

E come tale, per cercare di migliorare le cose, bisogna prima di tutto analizzarle in profondità e soprattutto conoscerle a fondo.

Appunto, come un insegnante che vive tutti i giorni il rapporto problematico – ma bellissimo, aggiungo io – con i propri allievi.

Come dice lo stesso autore.

“Il quadro dipinto dal libro di Oggero è forse troppo fosco per essere portato come esempio di prammatica. Certo è che i docenti del terzo millennio sono abituati a dover gestire non solo un lavoro di coscienziosità e delicatezza, ma anche situazioni sideralmente lontane rispetto a documenti per sognatori come il Patto educativo di corresponsabilità”.

Questo Patto è presente in tutte le scuole e sancisce una sorta di alleanza educativa tra docenti e genitori per il bene dei loro figli. Tuttavia, anche le famiglie sono spesso uno dei punti deboli di questo accordo, perché la stessa famiglia di oggi risente di tante problematiche a loro volta riassumibili di nuovo sotto l’insegna della complessità.

Insomma, la scuola è e resta un presidio irrinunciabile di fronte alla deriva ideologica e valoriale dei nostri tempi, pur mantenendo tanti difetti al suo interno. Ma una vera “riforma”, a mio giudizio, avrà valore solo partendo da chi conosce bene questo mondo, perché lo frequenta ogni giorno e lo sente suo, nel bene e nel male.

Solo nel cuore dell’uragano si può, dunque, aver la speranza di sopravvivere e di uscirne un pochino migliori di come ne siamo entrati.

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