Moltissimo tempo fa,
Al tempo dei Bini Smaghi,
delle fanciulle e dei draghi,
dentro le nostre città
chiamavano i Podestà
a sedare i contendenti
delle famiglie potenti,
che specie in tempo di peste
insorgevano moleste
squartandosi tra parenti.

Si dice che un avvocato,
un Conte, fosse al governo,
e che a metà dell’inverno
l’avesse decapitato
un sicario prezzolato:
un essere ributtante,
un assassino ambulante,
che teneva nel suo sacco
la testa dentro ad un pacco
per ricattare il mandante.

Per evitare altri scempi,
un Califfo illuminato
(l’islamico moderato
che governava a quei tempi),
seguendo gli antichi esempi
tirò fuori dal cappello
un uomo di gran cervello,
molto elegante, facondo,
che aveva girato il mondo
ed anche piuttosto bello.

Lo elessero Podestà:
portava sulla bandiera
un drago su una zuppiera
con sopra scritto: “Voilà!”.
Aveva l’autorità
di chi conosce i misteri
dei favolosi forzieri
dei re di Francia e di Spagna:
gridando “purché se magna!”
lo accolsero volentieri.

Ha convocato i Baroni
nella sala delle feste,
e ha detto ai Baroni: “Queste
sono le mie decisioni.
Con le dovute attenzioni
ai vostri lombi reali,
e ai nodi matrimoniali,
ho resettato gli assetti
che concernono gli affetti
e i beni patrimoniali”.

Tutti i Baroni restarono
silenti, salvo il sicario
che disse “straordinario!!”.
Però tutti lo ignorarono,
anzi molti si scansarono.
E il Podestà disse: “Bene,
mi spiego meglio. Conviene
che ognuno abbia la sua parte
in questo giro di carte,
e infine le tasche piene.

Faremo quattro governi
in uno: ma vuole vuole Dio
che il quinto sia solo mio.
Con dei criteri moderni,
voi sarete i quattro perni
che tengono l’edificio
dove, impassibile, officio
i riti della Finanza,
questa divina sostanza
che vuol fede e sacrificio.

Nel primo partito metto
insieme il Verde col Giallo”.
Con la mossa del cavallo
si strinsero petto a petto.
l’inguacchio fu maledetto,
ma prima s’eran baciati:
e tra vecchi innamorati
ci sono strani destini,
e rendez vous clandestini
che vanno valorizzati.

E nel secondo partito
c’è Zingaretti e Di Maio:
cantaron fino a gennaio
il medesimo spartito.
Speranza non ha tradito:
resti con loro. Son buoni,
sanno le stesse canzoni,
parlano nei loro pranzi
di moderati romanzi
e moderate passioni.

Nella terza formazione
voglio Salvini col Vecchio:
si studiano da parecchio,
hanno la stessa intenzione.
Sarà Madonna Melone
ad aiutarli da fuori,
coi suoi giocondi furori
che danno la sensazione
che esista un’opposizione:
e abbiamo tutti i colori.

La quarta parte che detta
la legge del mio quaderno,
è quel compromesso eterno
che stringono Letta e Letta.
La relazione perfetta
tra l’accademia e l’altare,
l’enigma del “popolare”,
o l’esercizio retorico
di quel compromesso storico
che insistono ad evocare.

Ognuno di voi già sa
come trattare con l’altro:
quanto sia stupido o scaltro,
e dove vi ingannerà.
La luce vi guiderà:
si tratta di un bel malloppo.
Non fatemi il finto zoppo,
non fatemi il finto sordo:
nessuno sia troppo ingordo,
nessuno pretenda troppo.

Ma il mio governo segreto,
è il quinto, che non si vede:
è una questione di fede.
Sta li, semplice e discreto,
astratto però concreto,
signori, come il Denaro:
noi gli daremo riparo,
e vi armerò cavalieri
a difesa dei misteri
di questo animale raro.

E questo governo prisma
dai molti volti, sia chiaro
che troverà nel denaro
il fondamento, il carisma.
Benedetto da quel crisma
andrò per le vie remote
delle vostre città vuote,
giustizierò chi non crede.
Se la finanza è una fede,
Io sono il Re Sacerdote.

Gridarono tutti: “urrà!”.
“Urrà!” gorgheggiò il sicario;
ma si misero a sipario
tra lui ed il Podestà
tutti i baroni. “Son qua!”,
gridava il turpe mariolo;
ma avevano preso il volo.
Nessuno vuol star vicino
a lungo ad un assassino:
lo avevan lasciato solo.

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