L’ultimo romanzo di Giulia Caminito, Il male che non c’è (Bompiani, pp 272, euro 18.00), per molti versi segna una svolta nella storia letteraria della scrittrice romana sia per il tema trattato, l’ipocrondria, che per il linguaggio e per l’uso di alcuni personaggi.

Si rimane sempre all’interno del difficile mondo di quei giovani che la sociologia ha voluto definire come millenials. Come se fosse un etologo, la scrittice decide di selezionare un esemplare, Loris, trentanni appassionato di scrittura e di lettura, che vorrebbe diventasse il suo lavoro, e ce lo racconta spesso presentandocelo come se fosse sul tavolo di una sala operatoria, a cuore aperto.

Ipocondria. La trama de
“Il male che non c’è”

Con questo non rinuncia certo ai suoi affetti, fatti di un nonno, Tempesta, a cui Loris si affida fin da bambino e al quale non rinuncia anche da giovane adulto e Gelo, l’immigrato rumeno. Poi c’è Jo la sua fidanzata che, in verità non sembra avere un ruolo rilevante nella storia seppure Loris dimostri spesso di amarla e di cercarla. Ma Jo, rispetto ai tentennamenti di Loris, procede spedita: trova lavoro e riesce a farsi assumere.

Quello che potrebbe risultare una banalissima storia di amore e di amicizia, in realtà è solo il contorno disperato di una vicenda di vita che ha il suo perno nella drammatica ipocondria del ragazzo. Proprio qui sta la forza drammaturgica del libro che riesce a raccontarci la fragilità dei giovani della nostra contemporaneità che si trovano privi di qualsiasi cosa che potrebbe salvarli, anche solo momentaneamente. Non possono avere una casa perché gli affitti sono troppo alti e non hanno una vera occupazione. Esclusivamente opportunità di impieghi precari che fruttano la miseria di 600 euro al mese, seppur nella tanto agognata casa editrice.

Intorno a Loris il contesto è disastroso. Prima la famiglia che per lui, figlio unico, ha organizzato una vita protetta e ottimistica con fiducia nel futuro prima che affrontasse il mare aperto della società e iniziasse a farsi male soffrendo di complessi di inadeguatezza. Poi la società popolata di adulti invadenti e irrispettosi e di altri suoi coetanei inebriati dall’idea dei soldi e del successo.

Si moltiplicano così i mostri e i fantasmi che nel racconto hanno la stessa dignità dei personaggi reali. Su tutti c’è Catastrofe un essere che cambia aspetto e forma e che in realtà è Loris stesso. Catastrofe lo accompagna nelle situazioni difficili e lo aiuta in qualche modo a rappresentarle.

Simboli e metafore

Molto onestamente Giulia Caminito ci fa anche capire che la condizione di Loris, che affonda le radici nella sua infanzia, tra depressione e ipocondria non è solo questione del contesto. Lui stesso contribuisce a definirla percorrendo da adulto le strade sbagliate, che non gli danno stabilità. Si moltiplicano così i simboli e le metafore. Si riprendono anche alcune situazioni che rapidamente ricordano quelle de La grande A che anbienta le vicende narrate nel corno d’Africa. Si fa molto riferimento agli animali, colombi e agnellini su tutti, come pochissimi altri scrittori italiani hanno scelto di fare.

Forte del fatto che l’ipocondria non si vede Giulia Caminito da sfogo alla sua fantasia visionaria che si è nutrita per anni di fumetti fantasy, di vicende assorbite dal web, di ossessioni e di sogni a occhi aperti.

Il corpo è padrone del discorso narrato del libro. Le metafore servono a trasmettere sentimenti e stati d’animo come quella liberatoria finale che sembra provenire da una seduta psicoanalitica più che da una riflessione letteraria.

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