In Italia, come Daniele Mencarelli non c’è nessuno. Il suo modo di parlare delle difficoltà della vita di chi soffre è unico. Dalle poesie ai romanzi, questo filo conduttore caratterizza una ricerca e una sensibilità di rara forza e importanza.

Poco conosciuto prima dell’edizione di Tutto chiede salvezza che gli valse la visibilità della cinquina finalista al Premio Strega e la produzione di una serie televisiva che dal libro prende il nome, Daniele Mencarelli si è affermato con la sua prosa lineare che non ha bisogno di orpelli particolari per essere efficace perché è la stessa realtà di cui parla che si fa carico di tutto questo.

Poche settimane fa è uscito il suo ultimo libro, Fame d’aria, Mondadori, pp 180, euro 19,00. E’ un libro struggente e potentissimo, giocato sui contrasti, sul dolore e sulla rabbia. E’ un libro politico come lui stesso ha avuto modo di affermare.

Daniele Mencarelli – photo by La Setmana on Flickr https://www.flickr.com/photos/66645551@N05/52354730336

Racconta di un viaggio (altro tema caro all’autore) di un padre con il figlio autistico grave. Il figlio non è autonomo in nulla. Nonostante non sia più giovanissimo, il ragazzo deve continuamente essere cambiato perché non si controlla. A farlo è sempre il padre, pieno di dolore e di rabbia.

Nessuna autonomia caratterizza la vita di Jacopo che anche per alzarsi dal letto deve sentire il braccio del padre.

Un provvidenziale guasto alla vecchia auto dove viaggiavano i due aiuta il lettore e i protagonisti a squarciare un muro di silenzio e di solitudine con esiti alterni e problematici.

Per riparare il guasto occorre aspettare qualche giorno. Pertanto, padre e figlio trovano accoglienza presso una piccola pensione dove possono riposare e consumare il pasto. Le persone sono gentili e accoglienti anche se la piccola comunità intorno esprime nei modi e nelle convinzioni alcuni aspetti dell’Italia più retriva di persone poco coltivate.

Improvvisamente la dimensione solitaria e individuale di Jacopo e del padre assume connotati diversi. Il lettore scopre così degli elementi che pur nella profonda amarezza hanno addirittura un profilo ironico. Molto forte ad esempio è il nominativo affibbiato a Jacopo: Scrondo!! Quel personaggio televisivo degli anni Ottanta dalla comicità volgare e dall’aspetto del totalmente diverso, verde di pigmento, orecchie da extraterrestre, maglietta sollevata sulla pancia, orecchino e bracciale al polso. Un po’ punk, un po’ coatto un po’ nemico del sistema marcio.

In questo confronto, talvolta conflittuale talvolta armonico, con le persone che gi stanno intorno, Pietro e suo figlio Jacopo acquistano una loro posizione, mai risolutiva, però della loro condizione, anche se la cura e l’affetto alleviamo molto dolore. Le persone scoprono solo gradualmente l’entità della fragilità di Jacopo. Alcune fuggono, altre rimangono interdette, altre ancora si avvicinano come la dolce Gaia, della pensione dove sono ospiti i due venuti da fuori.

Non è il caso qui di svelare l’epilogo. Per la lettura di questo libro però ci basti valutare quanto abile sia stato lo scrittore ad evitare ogni artificio retorico. Non ha concesso nulla né al pubblico dei lettori né a se stesso. Questo in un momento in cui l’unico modo per occuparsi della fragilità sembra essere il ristretto ambito domestico oppure possedere ricchezze consistenti.

E anche della povertà di Pietro parla Daniele Mencarelli, mostrando senza mediazione cosa possa significare privarsi di tutto per provare a curare il proprio figlio. Da soli. Perché, colpevolmente, spesso, lo Stato manca.

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