Come molti, ho conosciuto i racconti e i romanzi di Marco Malvaldi leggendo le storie dei vecchietti del BarLume, cominciando da La briscola a cinque. Quando ho acquistato Milioni di milioni, non esagero, ho vissuto il distacco  dalla serie con grande ansia: Malvaldi senza i suoi vecchietti? Senza Massimo Viviani? Piergiorgio Pazzi e Margherita Castelli, chi sono costoro?

Inutile che vi dica che Milioni di milioni è diventato uno dei miei romanzi preferiti dello scrittore pisano: i miei studi filologici mi hanno reso Margherita simpatica fin dall’inizio e il suo caratteraccio subito affine. 
A distanza di cinque anni dal primo capitolo, Odore di chiuso, è adesso nelle librerie la seconda avventura di Pellegrino Artusi, Il borghese Pellegrino, un giallo storico:  direte voi, un altro trauma? No, perché anche se non c’è traccia dei  vecchietti, né di Massimo Viviani, né dei due giovani Piergiorgio e Margherita, ho realizzato, e mi scuso per non averlo fatto prima, che non importa quali siano i personaggi e neanche le epoche in cui questi vengono collocati, Malvaldi saprà costruire un giallo intelligente e divertente, ma soprattutto profondamente toscano. E così, non più preda di timori, ho cominciato la lettura.

Nell’ottobre del 1900, in un castello della campagna Toscana, si consuma un delitto (e questo lo possiamo dire) per il quale Malvaldi tesse le fila di una perfetta trama all’inglese, dove la pazienza e la scaltrezza saranno gli ingredienti fondamentali per sciogliere i nodi. Chi penserà di trovarsi semplicemente di fronte a un giallo inglese  alla Agatha Christie dovrà, però, ricredersi: perché in questo romanzo i personaggi sono inequivocabilmente italiani, gesticolano troppo, parlano di cibo anche mentre mangiano e talvolta si professano cattolici pur di non ammettere di derivare dalle scimmie. 

Il protagonista è il cuoco Pellegrino Artusi, autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Nel romanzo ci sono camere da letto sontuose, ma fredde, un maggiordomo, gli arazzi appesi alle pareti, del cibo pesante e tanto alcol, ci sono uomini che sono primedonne e donne apparentemente invisibili (naturalmente indispensabili), ma soprattutto ci sono tensioni più o meno aperte tra i personaggi costretti a rimanere rinchiusi tra le stesse mura per giorni, almeno fino alla risoluzione del caso (a pensarci bene, ci sono tanti baffi e nessun barbiere indie). 

A tutto questo si aggiungono fatti storici curiosi e poco noti (o almeno poco noti a me, che ignoravo quale valore diplomatico avesse svolto la carne in scatola nei rapporti tra Impero Ottomano e Regno d’Italia), che, infarciti di ironia, diventano lo sfondo perfetto per un giallo sempre ritmato.

Un’ultima cosa. Malvaldi rompe spesso la quarta parete, senza mai però suonare pedante o sfacciato. Lo fa per strapparci un sorriso e ricordarci che quelli nati nel milleottocentoventi, come Pellegrino Artusi, o un secolo o due secoli più tardi, potranno cambiare convenzioni e selezionare nuovi non detti, ma che certe cose non sono ancora cambiate. Io ho preso appunti: si continua a confondere la perspicacia femminile con l’impertinenza, il buon cibo mette d’accordo tutti ed è sempre bene avere una chiave di riserva.

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